Regia di Ken Loach vedi scheda film
Manifesto della Resilienza 2016, coglietene tutti i frutti.
Non sono un cliente né un consumatore né un utente, non sono un lavativo, un parassita, un mendicante o un ladro. Non sono un numero di previdenza sociale o un puntino sullo schermo. Ho pagato il dovuto, mai un centesimo di meno, orgoglioso di farlo. Non chino mai la testa, ma guardo il prossimo negli occhi e lo aiuto quando posso. Non accetto e non chiedo elemosina. Mi chiamo Daniel Blake, sono un uomo non un cane, come tale esigo i miei diritti, esigo di essere trattato con rispetto. Io, Daniel Blake sono un cittadino, niente di più niente di meno.
Que viva Ken Loach, vincitore della Palma d’oro a Cannes. Que viva Daniel Blake, uomo buono e lavoratore indefesso caduto nella bieca rete dei sussidi, delle sanzioni assurde per non essere riuscito a piazzare curriculum vitae. Uomo saggio e onesto, reduce da un infarto che lo ha messo nella condizione di non poter riprendere a lavorare. Costretto a fare ricorso per non perdere il diritto di avere di che mangiare. Uomo generoso che dà una mano disinteressata a chi è scivolato fuori: Katie e i suoi due figli. Onore agli ultimi che saranno sempre i primi per dignità e stima. Daniel è un esodato del Regno Unito, invisibile nel cinema italiano come nelle cronache dei gazzettieri di regime locali. Se ogni giorno di più la giustizia sociale viene meno in una Europa inutile e stupidamente burocratica, Ken il rosso con lo stile minimal che lo contraddistingue e la scrittura precisa di Paul Laverty colpiscono duro e indignano con nobiltà. Infine commuovono, sì perché la vita non è sempre a lieto fine. Chi lotta e chi spera è destinato a perdere, chiosava l’argentino Fernando Solanas, però c’è ancora bisogno di eroi. E Daniel Blake è simbolo di resistenza sociale, a prescindere da ideologie o da scelte politiche, cancellate (a dire il vero) in nome di globalizzazione e liberismo. Daniel Blake è anche simbolo attuale di resilienza, finché il cuore regge.
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