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Io, Daniel Blake

Regia di Ken Loach vedi scheda film

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La recensione su Io, Daniel Blake

di alan smithee
7 stelle

La Palma d'oro 2016 all'impegno civile di uno dei più integerrimi, lucidi ed impegnati cineasti militanti, da sempre proteso al difesa della classe sociale più povera e soggetta a soprusi ed ingiustizie. Loach torna alla sua forma migliore,in un film che non era certo il più bello del concorso, ma uno dei più socialmente ed eticamente importanti.

 

FESTIVAL DI CANNES 2016 - CONCORSO - PALMA D'ORO PER IL MIGLIOR FILM

Quando una storia è imperniata a farci vedere come, costantemente ed inesorabilmente, “piovono pietre sette giorni su sette addosso alla classe operaia”, (per citare uno dei più famosi e riusciti film del grande autore inglese), siamo quasi sempre certi che c’è di mezzo lui: Ken Loach, regista militante da sempre, voce dell’emarginazione, del ceto più debole e “bastonato”, di coloro che lottano per cercare di vivere meglio, più dignitosamente, cercando di far valere i propri diritti, o di non perdere in poco tempo tutto ciò che di positivo è stato raggiunto in seguito a decenni di conquiste sindacali.

Questa volta il cineasta britannico ottantenne ci documenta il calvario di un artigiano, Daniel Blake appunto, che, alla soglia del sessantesimo compleanno, già indebolito dall’avere tra le mani una occupazione manuale, un’esperienza lavorativa di per sé anche forte, ma di sempre più scarsa applicazione in una società ove tutto è standardizzato, ove tutto ciò che si rompe va buttato e ricomprato, ove la personalizzazione ha ancora una valenza solo nel comparto dei prodotti di lusso, di nicchia, e quindi al di fuori della portata dell’uomo: un onesto abile falegname vedovo da un paio di anni, senza figli, dunque solo, costretto ad interrompere il suo mestiere a causa di una grave crisi cardiaca alla quale sopravvive per buona sorte, ma che lo costringe ad un periodo di riposo assoluto, costretto a imbarcarsi nella lunga e farraginosa esperienza di una domanda di sussidio.

Le incongruenze di un sistema burocratico del lavoro che rinnega se stesso ed i principi per cui è stato concepito, costringe l’uomo a mettersi comunque alla ricerca di un lavoro, salvo poi non poterlo accettare per non andare incontro a ricadute pericolose paventate dal suo medico curante.

Durante le ricorrenti visite presso il centro per l’impiego, Daniel incontra una giovane mamma single di nome Kate, senza dimora fissa e senza lavoro, si dispera per tentare di dare un futuro accettabile ai due figli piccoli: la solidarietà disinteressata sarà tutto ciò che di buono potrà unire Daniel alla donna, mentre le problematiche che entrambi incontreranno daranno luogo a soluzioni come minimo frutto di compromessi (anche di coscienza), e a reazioni plateali da parte del nostro Daniel, che comprenderà appieno solo in quei drammatici momenti che l’orgoglio lo spinge ad andare fiero della propria situazione di uomo onesto, travolto dagli eventi.

L’argomento forte ed attualissimo, la spinta emotiva che esso si porta dietro, sono in effetti a tratti dirompenti, e con questo film, non eccezionale nella forma, ma lodevole per l’impegno e la tematica che affronta con lucidità e senza mezzi termini, Loach ritorna a ruggire e a battersi efficacemente contro le iniquità del capitalismo esasperato che inghiotte e devasta, divide creando sempre più masse di povertà da una parte, ed una élite sempre più dominante e potente dall’altra.

Certo la Palma d’Oro forse è stato troppo, in rapporto ad almeno 3-4 altri film concorrenti forse in senso assoluti più meritevoli del premio più prestigioso, ma l’argomento, di per sé forte, impellente, maturo, necessario, può in questo caso giustificare una scelta a prima vista un po’ avventata o comunque epidermica.

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