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Mademoiselle

Regia di Chan-wook Park vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Mademoiselle

di GranRoyale
10 stelle

Park Chan-wook è sempre stato un esteta, fin dalle prime pellicole, anche quando gli intrecci narrativi erano più importanti ha sempre avuto un occhio attento per i particolari visivi, per gli oggetti all'interno delle scene, per i colori e le ambientazioni. Ma con gli ultimi due film ha raggiunto una perfezione stilistica inimmaginabile.

 

Non voglio soffermarmi su Decision to Leave che reputo un capolavoro e uno dei migliori neo-noir mai fatti. Il suo precedente, cioé The Handmaiden (Mademoiselle in Italia), non è sicuramente da meno.

 

La storia, divisa in tre atti, è il solito grande lavoro di sceneggiatura del regista e della sua fantastica collaboratrice Chung Seo-kyung, che come Alma Reville per Hitchcock, aggiunge il punto di vista femminile indispensabile per raccontare una storia di questo genere.
Il tutto scorre in maniera fluida, i personaggi si riempiono di sfumature, si caratterizzano, sorprendono ad ogni colpo di scena. A questo proposito, il primo è devastante, completamente inaspettato.

 

Non ho nessuna competenza per giudicare la prova degli attori, per quanto mi riguarda potrebbero aver azzeccato la prova della loro vita tutti contemporaneamente, sicuramente sono credibili e adatti per le loro parti. Le due attrici, Kim Min-hee e Kim Tae-ri, sono state eccezionali in due ruoli per nulla facili da interpretare, soprattutto in alcune scene.

 

Prima di passare alla parte visiva va fatta una premessa secondo me fondamentale: Park Chan-wook è l'unico e vero erede di Alfred Hitchcock. Lo zio Alfred aveva capito che nel cinema quello che si vede è molto più importante di quello che si sente. Saper inquadrare nel modo giusto una corda, una spilla o una chiave, vale più del miglior dialogo.

Park è l'unico che ha saputo far suo questo stile unico, reinventandolo, riadattandolo, senza renderlo banale e citazionista. Buona pace per De Palma e Shyamalan.

 

In The Handmaiden, oltre alla stupenda fotografia di Chung Chung-hoon, c'è una cura maniacale della scenografia e delle ambientazioni in generale. La stupenda casa unisce lo stile nipponico con quello occidentale, questa unione di stili è incredibilmente rappresentativa dell'intera Corea del Sud, da sempre divisa tra un passato che l'ha vista sottomessa al Giappone per decenni, a un presente di "liberazione" occidentale, soprattutto Americana.

 

Ma veniamo alla chicca del film, l'utilizzo del ero-guro come strumento di coercizione su Hideko e sulla zia prima di lei. Nel film la giovane ereditiera non ha mai dovuto subire violenza sessuale dal lato fisico del termine, la violenza che ha subito è mentale, anzi, possiamo dire letteraria.
L'ero-guro è un movimento artistico e letterario nato in Giappone. Basta una breve ricerca per capire quanti riferimenti a questo fenomeno sono presenti nel film. Dal dipinto di Katsushika Hokusai intitolato "Il sogno della moglie del pescatore", dove un’enorme piovra abusa di una giovane donna, fino al personaggio dello zio K?zuki, che incarna perfettamente il significato di questo "movimento letterario" dato da uno dei suoi rappresentanti, Tanizaki Jun'ichiro:

 

"I miei nervi sono come carta vetrata strausata, opaca; solo l'accattivante, il bizzarro e il grottesco possono eccitarmi adesso".

 

Questo espediente narrativo dona quel tocco di originalità alla trama che eleva il film a qualcosa di più di un semplice rape and revenge. Quello a cui assistiamo e un tentativo di plagio su una bambina prima e un'adulta poi, con lo scopo di sottometterla, non tanto fisicamente, ma intellettualmente. Non è un caso se lo zio K?zuki disprezza la sua origine coreana e ambisce a diventare giapponese. L'anziano in questo caso rappresenta proprio il Giappone che in quegli anni tenta di dominare la Corea, impedendo ai coreani di parlare la loro lingua, comprando i loro figli, cancellando la loro cultura.

 

L'arrivo di Sook-hee nella vita di Hideko libera entrambe, la prima dalla sua condizione di semi-schiavitù, la seconda dalla gabbia mentale che gli è stata imposta fin da piccola. In questo senso, il rapporto fisico tra le due protagoniste è fondamentale, è una vera e propria liberazione sessuale.

 

Per finire, gli sguardi.

 

Il conte Fujiwara, durante una conversazione con K?zuki, gli parla di come per lui sia facile capire quando una donna lo desidera sin dalla prima volta che la vede.

 

"Guardo sempre negli occhi le donne, solo gli occhi. Se sono colpite, all'inizio, distolgono lo sguardo, ma dopo stabiliamo di nuovo un contatto visivo".

 

Ecco, ora andate a rivedere il primo incontro tra Hideko e Sook-hee.

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