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Sully

Regia di Clint Eastwood vedi scheda film

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La recensione su Sully

di lussemburgo
6 stelle

È un moderno eroe americano il comandante Sullenberger (Sully per gli intimi), che decide di far ammarare un aereo di linea senza più motori in funzione sull’Hudson invece di cercare di atterrare in aeroporto. Sebbene riesca a salvare tutti i passeggeri, suo imperativo cruccio, il pilota viene messo sotto accusa per non aver salvato anche il velivolo, soprattutto quando numerose simulazioni sembrano dimostrare il contrario.

La città di New York, offesa dall’attentato delle Torri Gemelli (l’azione si svolge all’inizio del 2009), è uno dei principali attori della vicenda, ferita nei numerosi sogni angosciosi di Sully che rivive i pochi secondi del volo con esiti diversi e catastrofici, schiantandosi contro i palazzi e sulla gente. Le visoni del pilota, forse inconsapevolmente, si alimentano delle immagini dell’attentato e l’immaginario collettivo non può non riandare a quel trauma, americano e cittadino, poi mediatico e mondiale, e sottolineano, nello scampato pericolo, implicitamente (così come, più chiaramente, nelle parole di un amico) l'ardimento del comandante e la necessità di associare, in modo finalmente positivo, New York e velivoli.

Sono due le tipologie di simulazione a confronto nella trama del film, quella oggettiva delle macchine e dei logaritmi matematici e quella degli incubi asfissianti del comandante; e in entrambi i casi l’esito è differente dalla realtà, precipitando in città nella soggettiva notturna del pilota o tornando placidamente in aeroporto nell’oggettivazione degli eventi da parte della commissione d’inchiesta. Ma se i fatti si sono svolti altrimenti è stato perché il fattore umano, la freddezza di un’intuizione allenata dalla pratica, assieme alla follia di un azzardo imponderabile, hanno prevalso sui tecnicismi dei manuali e sulle procedure dei computer. Sully continua ad essere assillato da un diverso finale proprio perché ha compresso ed espulso le sue paure durante l’ammaraggio, le ha riposte in quell’angolo di coscienza che si ripresenta di notte, nella solitudine del buio.

Efficace nella messinscena, attenta e vicina all’umanità dei personaggi, il film di Eastwood, senza cercare il biopic, si limita a raccontare i dettagli di quell’episodio mondialmente noto dell’impossibile ammaraggio in città, lasciando solo frammenti del passato del protagonista, pilota di militare prima che civile ma sempre attento a riportare l’aereo a destinazione, a fare il suo dovere anche nelle circostanze più avverse. L’eroe Sully è adesso un uomo sotto assedio, solo e costretto a comunicare a distanza con la moglie e la famiglia, imprigionato dal clamore di un gesto a parer suo normale, per quanto eccezionale nei risultati, ma rimesso sempre in discussione, finanche nelle intenzioni, come scelta eccessivamente e inutilmente rischiosa. L’unica libertà personale rimasta al comandante è correre di notte per una città gelida, muoversi senza andare da nessuna parte, costretto a rivestire gli stessi abiti o l’uniforme, a circoscrivere le sue giornate tra le udienze e l’hotel che lo alberga e separa dal mondo.

Come sempre in Eastwood, anche questo è un film umanista; ma è anche, “repubblicanamente”, la storia di un singolo contro la maggioranza, contro le istituzioni o la società, ottuse e spesso incapaci di appieno capire le sfumature di ogni situazione. L’epos della Frontiera, con il cavaliere solitario eroe suo malgrado, rimane sempre sullo sfondo di un film, però, fatto di tecnologia e di ricostruzioni digitali, sia diegetiche che simulate, ossessivo come le ripetizioni della vicenda a cui il suo stesso andamento narrativo lo costringe. È come se un modello di cinema rivivesse un’ultima volta, nei temi e nei modi di una classicità che si fa sempre più effimera, come se Sully stesso altro non fosse che un simulacro terminale di una diversa modernità, ormai esauritasi, svuotata di senso e mantenuta in vita dalla sua retorica. Anche Sully è un pilota ormai anziano, che ha agito d’impulso a dispetto della tecnologia e della strumentazione elettronica, anche contro il volere dei controllori di volo scegliendo l’unica strada praticabile, sebbene fosse la più difficile.

Quei brevi istanti di tensione, dall’impatto degli uccelli nei motori a quello con l’acqua fredda del fiume, vengono rivissuti in forma sia verosimile che riprodotta, con una versione a imitare la realtà ed una, a definizione ridotta, a simularne la ripetizione, come uno spettro mantenuto in costante e artificiale vita. Ed è ai fantasmi di un possibile passato, incredibilmente scongiurato, che si rifanno le visioni oniriche di Sully, le quali rielaborano la vicenda con gli automatismi dei newyorkesi di rivivere un orrore noto. La stessa lunga scena, dalla perdita dei motori all’ammaraggio, non solo viene raccontata in svariate forme in televisione e sui media, ma viene anche rivissuta integralmente e replicata dal film stesso: una prima volta il regista aggiunge anche il fuori campo della torre di controllo e integra le varie reazioni dei passeggeri con l’andamento tipico del film catastrofico di una drammatizzazione potenziata dalla dissipazione dei punti di vista; la seconda volta, Eastwood rimane invece quasi solamente confinato nella cabina a seguire i gesti e le reazioni dei piloti sino alla conclusione salvifica (in questo caso, però, gli inserti residui dei controllori di volo appaiono superflui e incongrui), come ultima e definitiva ricostruzione attenta e fedele alla verità dei fatti e delle persone.

Terminata la simulazione del film, ennesima finzione tra le altre, la narrazione si esaurisce e si ricompone all’interno della realtà, con i veri protagonisti riuniti in un hangar aeroportuale, salutati e omaggiati dalla cinepresa che, volteggiando su una steadycam, inquadra i veri volti di passeggeri e di piloti, li vede sovrapporsi, a posteriori, a quelli degli attori, appena visti ma ormai già fuori campo, lascati lontani dopo aver svolto il loro compito di drammatizzare per lo schermo una vicenda veritiera. Il cortocircuito tra finzione e realtà, tra la sua molteplice rappresentazione mediatica o psicologica e la verità dei fatti, con ogni accezione e possibile interpretazione dei medesimi eventi, si è finalmente esaurito, e nella sala può tornare il buio dell’oggi, con l’America guidata dal candidato preferito di Eastwood.

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