Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
Tff34 - Festa Mobile.
«11 milioni di passeggeri in 40 anni e alla fine si viene giudicati per 208 secondi».
Questa appena riportata, è una frase emblematica che il capitano Sully pronuncia e che va a suggellare un discorso più ampio – d’altronde questo brevissimo lasso temporale non è finito in tragedia - con un atto eroico messo in discussione, un momento difficile che diventa ancor più problematico con i suoi riflessi che vanno oltre l’uomo/personaggio stesso.
Clint Eastwood dà forma e anima a una storia vera, di presa talmente rapida da divenire epidermica, ma anche realizzata con una pulizia formale invidiabile e quella capacità di unire l’utile – l’eroe e il suo conflitto - con il dilettevole, non difettando in fatto di battute acute.
15 gennaio 2009, nonostante sia riuscito in un’autentica impresa, salvando tutti i passeggeri e l’equipaggio dopo che il suo aereo è rimasto privo di entrambi i motori in fase di decollo, il capitano Sully (Tom Hanks) è posto sotto indagine insieme al suo secondo Jeff Skiles (Aaron Eckhart).
Mentre il mondo lo acclama, rischia di giocarsi la carriera, l’onore e il futuro; forte della sua sicurezza trova di fronte accusatori che non sembrano disposti a sentir nemmeno le ragioni più sacrosante, giudicando sbagliata la sua scelta di ammarare sul fiume Hudson.
Negli ultimi mesi, la figura di Clint Eastwood è stata presa in considerazione principalmente per il suo endorsement nella scalata alla Casa Bianca di Donald Trump; la sua fede repubblicana è riconosciuta da sempre, ma l’uscita negli States nello stesso periodo di una pellicola come Sully genera più di una riflessione con contrasti a cascata.
Da un lato, c’è un netto diverbio dello spirito fondante rispetto alle idee politiche dell’autore, dall’altro la figura dell’uomo comune che diventa eroe, scardinando i preconcetti odiosamente corporativi, richiama (almeno alcune del)le promesse che il neo eletto ha annunciato durante la campagna elettorale nelle più svariate direzioni (insomma, quando tutto fa brodo).
Fatta questa premessa, Sully non è, non poteva essere, il prototipo dell’opera atta a sorprendere, ma possiede un profondo respiro classico da old Hollywood che oggi quasi nessuno riesce più a rievocare.
Mette subito in primo piano la figura del protagonista, un uomo consumato, travolto da visioni e incubi – che aiutano a riprendere i fatti più volte, ricostruendoli sotto mentite spoglie – con un fattore umano preponderante, un disagio, indotto forzosamente, che travalica la soddisfazione per aver salvato tutti da una situazione senza precedenti, un’antitesi perfetta del nostro Schettino, ultimo a lasciare il relitto e indomito fino al rilevamento finale dei sopravvissuti.
Con questo approccio, che accantona ogni convenevole di sorta, ci troviamo scaraventati dinnanzi al paradosso dell’atto eroico, altri interessi e pensieri di comodo provano (con la forza) ad affrancarsi, andando ben al di là del semplice accertamento dei fatti.
La storia è nota, la sua conclusione pure, ma la ricostruzione, coerente e filo narrativa, riesce ad arricchirsi tra le traiettorie umane, un enorme conflitto morale (realtà contro simulazione, uomo e macchina, persona comune e sistema), le percezioni agli antipodi di passeggeri e autorità, che scava il solco tra il volgo popolare e il potere che agisce nella tutela del suo stretto interesse, generando una tensione emotiva consistente e persistente, addirittura in costante upgrade fino ai titoli di coda che chiudono il cerchio con l’ultima spallata (il parallelo definitivo con la realtà).
Gran merito, spetta alla direzione sempiterna di Clint Eastwood che sembra giungere direttamente da un’altra epoca, capace di sottolineare il necessario ed essere leggero sul contorno; dal canto suo, Tom Hanks è sorprendente, invecchiato dal lavoro al trucco, se possibile ancor più rassicurante di quanto non già siano i suoi personaggi più iconici (Forrest Gump, Cast away, Apollo 13).
Difficile trovare difetti concreti, Sully è disegnato come una precisa staffilata rivolta al cuore, che si inerpica fino a stazionare per lungo tempo in gola, rievocando con senno e testarda convinzione la figura dell’eroe per caso, per giunta messo in discussione, incastonato da un discorso in prima persona, attraverso una formula vincente che si avvita attorno la carne viva.
Talmente bello, preciso, animato e coinvolgente, da arrivare al punto di generare lacrime di emozione - non per niente il pubblico americano lo ha premiato senza riserve – e far pensare che, qualora fosse ignorato dall’Academy, feudo di personalità dell’altra sponda politica, non sarebbe poi tanto difficile vederci dietro motivazioni extra cinematografiche.
Giù il cappello per Clint.
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