Regia di Stéphane Brizé vedi scheda film
Nella Normandia del 1819, Jeanne ha appena lasciato il convento in cui è stata educata quando sposa il visconte Julien de Lamare. Portata a sposare un uomo che nemmeno conosceva, Jeanne si comporta come ogni ragazza del suo tempo: non è costretta a farlo ma segue le volontà della madre, una donna che subdolamente le propone un aut aut a cui non può sfuggire, e la vigliaccheria del padre. Nonostante prometta di amarla per tutta la vita, a pochi mesi dalle nozze Jeanne scopre un primo tradimento dell’uomo con Rosalie, la cameriera di casa nonché propria amica e “sorella di latte”. Dal tradimento nasce anche un figlio ma, spinta dal prete locale, Jeanne perdona Julien. Qualche tempo dopo dà anche alla luce il primo (e unico) figlio ma i tradimenti e le relazioni extraconiugali di Julien non si placano ma si moltiplicano. In un girotondo di eventi, Jeanne finisce per provocare una tragedia che costa con un omicidio-suicidio la vita al marito, alla sua amante e al consorte di costei. Rimasta con il padre e con il figlio Paul da crescere, Jeanne riversa sul piccolo tutto il suo amore. L’educazione del piccolo viene ancora una volta affidata a un istituto religioso e ciò comporta che tra madre e figlio si crei una spaccatura che difficilmente il tempo risanerà. Una volta adulto, Paul lascia la Normandia per raggiungere Londra, da dove decreterà la rovina della famiglia.
A distanza di un anno da La legge del mercato, Stéphane Brizé torna dietro la macchina da presa per adattare Una vita, primo romanzo di Guy de Maupassant apparso per la prima volta come romanzo d’appendice nel 1883 sulle pagine del quotidiano Gil Blas e considerato da Tolstoj come la massima espressione della narrativa francese (preceduto solo da I miserabili) di Hugo. All’adattamento Brizé lavora tra pause e riprese per quasi 20 anni, consapevole delle difficoltà legate alla trasposizione della storia. Lucido romanzo che presenta un’attenta descrizione della condizione femminile dell’epoca, Una vita ripercorre la storia e le vicissitudini di Jeanne in maniera lineare. Brizé sceglie invece di scomporre le vicende e di presentarle alternando i tempi della narrazione: il presente si mischia così continuamente con i flashback e con i flashback nei flashback. Il destino di Jeanne scorre agli occhi dello spettatore nello stesso modo in cui scorre nella mente della protagonista, chiamata a vivere le difficoltà dell’oggi e a ricordare i pochi frammenti felici dell’ieri. Fondamentalmente un’idealista, Jeanne vive in una sorta di dimensione aliena, manifestando profonda fiducia nell’essere umano. Fidandosi delle bugie prima del marito e poi del figlio, ha una visione del mondo ancora legata alla sua infanzia, quando credeva che gli adulti non mentono e sanno tutto. Il mondo che si è raffigurato è perfetto e a ogni incrinatura di tale perfezione Jeanne resta sconcertata. Il suo potremmo definirlo quasi come un viaggio verso il disincanto, una rotta tesa a scoprire come la realtà che la circonda non può suddividersi schematicamente in “bella o brutta”: esistono vie di mezzo e deve imparare ad accettarle. Così come deve imparare a convivere con i comportamenti altrui: amicizia, amore e affetto figliare, non sono come li aveva idealizzati ma hanno forme e sfumature dettate da un universo complesso e non sempre razionale.
L’epopea di Jeanne si estende per 27 anni, periodo nel quale il suo corpo e il suo sguardo si adattano ai momenti che vive, momenti che sono ripercorsi sempre attraverso il suo punto di vista. Per cambiare radicalmente la prospettiva del romanzo, Brizé si rifugia spesso nello scambio epistolare, facendo leggere alla protagonista le lettere a lei indirizzate o ad altri. È ad esempio leggendo le lettere indirizzate alla madre, dopo che questa è passata a miglior vita, che scopre il tradimento che si rivelerà fatale per il marito. Anche nel trasporre la morte di Julien, Brizé si concede un grande cambiamento rispetto al testo, mantenendo cinematograficamente la stessa forza letteraria del momento e rendendo palese ciò che Maupassant celava (il suicidio del marito tradito).
Adattare un romanzo per il cinema significa in primo luogo appropriarsi del testo e farlo proprio, cercando nuove forme per non perdere di potenza. Brizé suddivide i 27 anni in 4 stagioni e per mostrare il passaggio del tempo filma sempre gli stessi luoghi ma in momenti diversi dell’anno: un giardino, una spiaggia, la campagna e gli ortaggi mostrano le metamorfosi di una natura, che si fa specchio della psicologia della protagonista. Continua poi il lavoro di personalizzazione giocando con il formato: le prime sequenze sono realizzate in un “claustrofobico” 1:33, una scatola quasi quadrata dentro alla quale inevitabilmente Jeanne è rinchiusa, prima di usare una camera a mano in grado di offrire con i suoi movimenti un sapore moderno alla storia.
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