Regia di Olivier Assayas vedi scheda film
L'elegantissimo processo di rimediazione che Assayas compie in "Personal Shopper" inizia sotto molteplici punti di vista che pervadono quest'ultima opera del regista francese. Chi guarda davvero Maureen, il personaggio interpretato da Kristen Stewart? E' lo spettatore o uno spettatore - fantasma?
Assayas gioca in "Personal Shopper" su questa dialettica che in molti frammenti del film sembra dileguarsi verso una precisa soluzione: quando Maureen nell'esergo del film entra nella casa abbandonata del fratello morto appare pervasa da una presenza fantasma che la pedina in modo ossessivo, ossessione esplicitata da un elemento che caratterizza la sintassi filmica, cioè il pianosequenza. In altri frammenti è lo stesso spettatore a essere informato di quello che succede in fuoricampo: quando Maureen ha terminato di parlare con il nuovo amante della sorella e alle spalle appare un volto (il fratello?).
Due frammenti: il pianosequenza iniziale e l'apparizione dietro le spalle della Stewart.
Posta in luce questa forte dialettica, il processo di rimediazione proposto da Assayas vede elementi diversissimi tra loro compenetrarsi continuamente all'interno del film: l'Astrattismo, lo spiritismo e l'immagine cinematografica. In altri termini, la pittura, la metafisica e il cinema, tre elementi che agiscono verso un unico obiettivo focale: plasmare l'(in)visibile.
Questa invisibilità è tradotta nei termini in cui Marieen affronta la propria esistenza: si muove come un fantasma, vive da sola, esperisce emozioni da sola e aspetta che qualcun altro la contatti. Maureen risulta, sotto quest'ottica, un personaggio totalmente spersonalizzato, come sono i vestiti che sceglie per il proprio capo: il vestito è l'apparenza e la stessa Maureen vive di questa apparenza tanto da assimilare più volte, attraverso il gesto della vestizione, gli abiti destinati ad un'altra persona verso il proprio sè. Sembra quasi che Maureen rivendichi la propria natura-fantasma, un personaggio spersonalizzato che vive di apparenza.
Si potrebbe fare un raffronto suggestivo tra "Personal Shopper", "Ex Machina" e "Under The Skin": nel film di Assayas la vestizione è l'apparenza attraverso cui si esperisce l'emozione e la sessualità. L'esergo di Under The Skin mostra una vestizione formale, l'aliena che subentra nel corpo umano tramite la pelle. In maniera antitetica nel finale, la figura femminile interpretata da Scarlett Johansson si sveste della propria apparenza al fine di mostrare la sua essenza di aliena, di Altro. Nel finale di "Ex Machina" l'androide interpretato da Alicia Vikander compie il gesto decisivo di acquistare un'umanità vestendosi con la pelle umana. Tre figure femminili per tre (s)vestizioni.
I tre ambiti sopra citati hanno come obiettivo quello di mostrare la forma di questa spersonalizzazione: Hilma af Klint citata nel film è una pittrice astrattista che ha come obiettivo quello di andare al di là del visibile per imprimerlo nelle sue tele. L'astrattismo si coniuga con lo spiritismo, come la stessa Hilma af Klint farà nelle sue opere e lo stesso Victor Hugo, da scrittore, nelle sue sedute spiritiche. Il cinema nella sua tradizione ha sempre volto la sua attenzione all'invisibile, come diceva Robert Bresson "rendete visibile quello che, senza di voi, forse non potrebbe mai essere visto". In aggiunta, questa invisibilità è riletta da Assayas nella nostra contemporaneità e passa attraverso lo schermo di uno smartphone, attraverso il collegamento, la connesione, il link. Assayas, forzando il discorso, sembra giungere alla stessa conclusione di Micheal Mann in "Blackhat", un altro film che mette in relazione l'invisibile con il visibile, cioè che la realtà entro cui viviamo è una realtà ambivalente: per Michael Mann la realtà sta tra il virtuale e il reale, per Assayas sta tra il visibile e l'invisibile che è riletto in una dimensione spirituale e metafisica.
L'incipit di "Blackhat": rendere visibile il virtuale, la rete, il collegamento.
"Personal Shopper": rendere visibile l'invisibile attraverso la tecnologia, lo smartphone.
La metafisica. La pittura. Il Cinema.
Infine, Assayas ha l'intuizione, per alcuni la presunzione, di portare avanti la propria opera su un discorso che indubbiamente rende l'opera più enigmatica di quello che non appare: il film inizia come un thriller per poi trasformarsi nel paranormale lasciando più dubbi che certezze allo spettatore. Sembra che il percorso paranormale nella sua profonda problematicità inizi dalla scissione della figura di Maureen intenta a toccare il proprio corpo nel letto, una scissione restituita da Assayas tramite una dissolvenza che unisce e allo stesso tempo separa la figura di Maureen. Da qui in poi, il film prende una piega paradossale: c'è chi afferma che la Stewart muoia uccisa dall'amante del capo per cui lavora o c'è chi ritiene che niente di tutto questo succeda. A prescindere dalla ricostruzione dell'intreccio del film, le analogie che "Personal Shopper" produce con un altro film che parla di scissione sono stimolanti, si è parlato infatti di una possibile analogia con il film di Kieslowski "La doppia vita di Veronica".
Il momento (possibile) di rottura in "Personal Shopper" a metà film, condensato in una dissolvenza.
Ne "La doppia vita di Veronica" il momento di rottura condensato con uno stacco nero che separa e unisce due momenti: la morte e la vita.
In "Film Blue" la memoria affiora tramite riflessi di colore bluastro. C'è una scena, invece, nel film di Kieslowski quando Veronique guarda fuori dalla finestra e un ragazzino gioca con la luce, il ragazzino chiude le tende e il riflesso della luce entra nella stanza, riflesso che diventa presenza di qualcos'altro. In "Personal Shopper" i riflessi non provengono dalla luce ma da presenze fantasma.
Assayas chiude con uno sguardo rivelatorio in cui è racchiusa tutta l'essenza metafisica del film: uno sguardo rivelatorio/interrogatorio: Maureen è un fantasma? E' il fratello quello che vede?
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