Regia di Olivier Assayas vedi scheda film
Controverso, immagino. Non so se la Palma d’Oro alla regia ottenuta all’ultimo Festival di Cannes possa, da sola, redimere la questione, ma ne dubito assai... Personalmente, conoscendo poco o nulla il regista Assayas, non posso esprimermi compiutamente. Fatto sta che il film in questione mi è molto piaciuto, a partire da quella Kristen Stewart che non conosco troppo meglio di Assayas (aborrendo ogni Tuàilàit del mondo, mi è capitata di vederla di striscio solo in un paio di occasioni, una terribile tra le mani di Sean Penn in “Into the Wild” e una egregia sotto la direzione di Kelly Reitchard in “Certain Women”, dove peraltro interpretò la “Woman” meno interessante e riuscita della galleria), e che, con la sua recitazione schizzo/scattosa tutti balbettii ad occhi bassi, offre un’interpretazione egregia di un personaggio molto meno facile di quel che sembra.
Ecco, sembrare: “sembrare” è forse la parola chiave per poter apprezzare questo film, perché non sono soltanto i fantasmi a “sembrare”, men che meno l’idea (volutamente?) ingannevole che si tratti di un film horror (o mistery, o fantasy, come vogliamo dire??), ma sembianti lo sono anche, per esempio, la stessa “professione” che da il titolo al film (meno male che nessuno ha voluto tradurla in italiano...), lo è l’ambigua e sfuggente Kyra (madame del capita-buonista), lo sono gli amici di Maureen che con estrema nonchalance decidono del loro futuro sulla base di intuizioni spiritistiche tranquillamente campate in aria, lo sono tutti i messaggi che arrivano al telefonino di Maureen, e lo è prima di tutti Maureen stessa, sdoppiata dal suo defunto gemello, che mai si manifesterà realmente per quel che è (o potrebbe essere) fino all’ultimo fotogramma.
Ben difficile incasellare questo “Personal Shopper” in un filone specifico, e questo è, normalmente, elemento di merito: certe fluidità ectoplasmatiche si incrocino con le indagini di una polizia, o certi SMS non si capisca se provengano dal mondo dei vivi o da quello dei morti (“Sei uomo o donna?” –chiede Maureen al suo sconosciuto interlocutore via smartphone; “Che differenza fa?” è l’unica risposta ragionevole che ottiene), sono la cifra migliore dell’ambiguità che rende ben interessante questo film.
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