Regia di Olivier Assayas vedi scheda film
Presenze.
Scrittura che tende a dare a forma, e conformazione, tangibilità, all'invisibile, all'astratto, alla natura sfuggente e inafferrabile delle cose. Alle presenze che sono intorno a noi. Tutto è calcolato, ragionato, freddo (come sempre nel cinema di Assayas): Maureen è, letteralmente, rappresentazione/estensione dentro lo schermo del pensiero/esercizio filmico del demiurgo/burattino. La donna è, essa stessa, presenza fantasmatica e manifestazione spiritica lungo i meandri e i raccordi di una messinscena ideale e cerebrale: al colpo/ai colpi dell'apparizione (dall'aldilà? Non importa) corrispondono stati progressivi di uno sperdimento interiore, di un'indeterminatezza preda di eventi e circostanze sempre più oscuri, inquietanti, avvolti nella materia viscosa del turbamento. Maureen che aspetta un “segno” dal fratello gemello, Lewis, defunto mesi prima, Maureen che è medium capace di vedere (e forse dialogare) con entità altre, Maureen la personal shopper che vede, compra e indossa (solo quando accetta il concetto del “proibito”) capi e accessori per una altra sé dell'alta società parigina, Maureen persa in un Paese straniero, Maureen che viaggia in treno per le città europee della moda, Maureen affetta da una malformazione cardiaca (come Lewis: che la malattia sia cronenberghiana origine del “dono”?), Maureen che studia opere e vita di Hilma af Klint, precursore dell'astrattismo pittorico: un lussuoso vestito teorico-filosofico cucitole addosso (e alla sua magnifica interprete, Kristen Stewart), tempestato di preziosismi e percezioni traslucide che sono il riflesso di un'idea di cinema potente ed egotica, raffinata e intellettuale/intellettualistica, penetrante e insinuante. Un linguaggio che sa sfiorare, come sfiora, il ridicolo e il genere (o i generi: dalla materializzazione ectoplasmatica alla toccata e fuga nel thrilling, dalle sedute spiritiche allo stalking tramite smartphone), che si trastulla in noiosi intermezzi (tutta la faccenda dei messaggi) e risvolti di poco conto (l'omicidio), per sublimarsi in un'allegoria dei tempi e dei luoghi, delle anime e delle menti (bersagliate da dati-codici-input), del mezzo e del suo uso/racconto. Ancora, Maureen e il viaggio (fisico) in una terra lontana ed esotica, quando le cose sembrano essersi messe a posto e i lutti elaborati, e l'astratto tramutato in reale (perché reali sono i bisogni, le pulsioni di “normalità”): il bicchiere rotto e la serie di poderosi colpi, intervallati da interrogativi lasciati sospesi (nell'indeterminatezza: esiste paura peggiore?), se paiono assumere funzione di un provocato disagio crescente, assurgono in breve a manifestazione/visione di sintomo. «Sei tu, Lewis? O sono solo io?». Sguardo in camera. Dissolvenza. Bianco.
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