Regia di Isao Takahata vedi scheda film
Film grandioso e complesso tanto quanto è minimo e semplice.
Sono alcuni giorni che mi interrogo sul perché questo Pioggia di ricordi mi abbia fino a tal punto commosso e persino turbato. Ad un primo livello, la pellicola attiva le aree cerebrali della nostalgia e del rimpianto, facendo ri-vivere esperienze del periodo preadolescenziale comuni a tutti, ma questo è il livello di lettura decisamente più banale e residuale. Un nuovo ripensarsi, un antico ripensarsi, un ripensarsi universale, questo viene invece insegnato qui agli uomini. Lucido come uno specchio, nasce l’essere, e tutto riflette sulla sua superficie senza opacità, miopie o coni d’ombra. Intervengono poi i moti della carne, come anche le imposizioni della civiltà, a sporcare via via lo specchio e a farlo sempre meno ricettivo, sempre più ritorto su se stesso. Trascorriamo l’intera vita a cercare un fine, ma Takahata ci dice: il fine è all’inizio, voltatevi indietro e ri-troverete voi stessi, e sarà un aureo ritrovarsi. L’antitesi fra un passato-purezza e un futuro-corruzione ricorda un certo cinema di Ozu, così come anche la lettura escatologica che congiunge circolarmente il fine con in principio mi riporta alla mente Una gita scolastica di Avati, altro film straziante come nessuno. Giace l’anima fanciullesca sotto carichi pesanti, sotto il fardello dei doveri, delle aspirazioni, delle umiliazioni, della pazienza, di finti divertimenti. Tuttavia a Taeko è sufficiente un attimo per rimuovere tali onerosi fardelli e recuperare la fanciullina schiacciata, ma mai perduta. Pioggia di ricordi parla in maniera tanto semplice e complessa insieme della parte più profonda del nostro essere, che ad un certo punto ci si dimentica di guardare un film d’animazione. Takahata in seguito sublimerà la figura della fanciullina nella Principessa splendente del suo film-testamento, ma è qui, nella realtà, che edifica il suo reame più fatato.
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