Regia di Jean-Jacques Annaud vedi scheda film
Nel 1980 Umberto Eco, già esponente di spicco del Gruppo ’63 e apprezzato semiologo dà alle stampe IL NOME DELLA ROSA, un romanzo giallo-filosofico ambientato in un monastero del 1327, ben presto diventerà un best-seller in tutto il mondo. Cinque anni dopo il produttore tedesco B.Eichinger mette insieme una co-produzione italo-franco-tedesca, viene girato parte in Germania e parte in Italia a pochi chilometri da Roma e in Abruzzo da maestranze italiane e da collaboratori di grande prestigio come il direttore della fotografia Tonino Delli Colli, lo scenografo Dante Ferretti e la costumista Gabriella Pescucci organizzati e finanziati dal co-produttore italiano Franco Cristaldi. Come protagonisti principali vengono scelte due star del calibro di Sean Connery e F.Murray Abraham (il Salieri di AMADEUS) nei rispettivi panni di frate Guglielmo da Baskerville e dell’inquisitore Bernardo Gui. La regia viene affidata al francese J.J.Annaud, premio Oscar nel ’78 ed egregio mestierante. La corposa trama del romanzo viene ridotta da quattro sceneggiatori, i quali eliminano qualche delitto e alleggeriscono l’impianto filosofico a favore di un giallo medievale spettacolare e intrigante. Il film sia apre e si chiude con la voce fuoricampo del novizio Adso da Melk “mentre declino ormai canuto insieme al mondo mi accingo a lasciare su questa pergamena testimonianza degli eventi mirabili e tremendi a cui potei assistere in gioventù sul finire dell’anno del Signore 1327, che Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto allora avvenne in un luogo remoto a nord della penisola italiana, in un’abbazia di cui è pietoso e saggio tacere anche il nome”. Questo prologo ci introduce alla trama: G.da Baskerville, francescano ex inquisitore, teologo appassionato della cultura e della filosofia giunge al predetto monastero con il novizio Adso da Melk (Christian “Aboccaperta”Slater). In questo luogo dovrà svolgersi un incontro tra francescani, domenicani e delegati papali per dirimere alcune questioni sulla fede, ma l’Abate (il francese M.Lonsdale) gli confida che una grave inquietudine aleggia dentro le mura dell’abbazia. Il miniatore Adelmo da Otranto è stato trovato morto ai piedi della torre e si ipotizza l’influenza del maligno. Guglielmo, acuto osservatore, inizia le sue indagini ma non tutti sono propensi ad aiutarlo e confidarsi: il vecchio francescano Ubertino da Casale lo invita a mandare via il giovane Adso da quei luoghi; il venerabile Jorge lo aggredisce verbalmente accusandolo di usare “vane parole” e di abusare dell’ironia e del riso “che deturpa il viso fino a renderlo simile a quello delle scimmie”, la disputa tra i due si conclude sul secondo libro della Poetica di Aristotele; il Bibliotecario Malachia e il suo vice Berengario sembrano essere eccessivamente gelosi dei segreti del ricco patrimonio librario, Guglielmo dice “sono convinto che quella torre contenga qualcos’altro oltre che all’aria”. Intanto arriva “un’altra calamità”, viene ritrovato morto Venanzio, il traduttore dal greco, l’erborista Severino che si occupa delle autopsie collabora con G. alla scoperta di indizi utili a sbrogliare l’intricata matassa di misteri. Anche Berengario muore e G. si convince che ci sia un libro che uccide in cui sono contenute teorie greche e latine in antitesi con quelle cristiane. Egli con Adso riesce a introdursi nell’immensa biblioteca scoprendo una miriade di libri antichi ritenuti scomparsi, intanto sono giunti i delegati papali e la Santa Inquisizione guidata dal crudele e unilaterale Bernardo Gui, il quale in passato aveva già condannato G. e ora al suo arrivo coglie in flagrante nelle cucine il frate gobbo e che “parla tutti i linguaggi e nessuno”Salvatore (il deforme e non molto dissimile dal vero R.Perlman) con una ragazza del villaggio vicino in cerca di cibo. Considerata una strega viene ritenuta colpevole dei delitti insieme a Salvatore e a frate Remigio da Varagine ex dolciniani, lascivi e corrotti ma estranei alle morti che peraltro proseguono. Stavolta tocca a Malachia, B.Gui condanna senza dubbi i tre al rogo, in un delirio di onnipotenza vorrebbe coinvolgere anche Guglielmo per partito preso e perché oppostosi ai suoi sbrigativi e ottusi giudizi. Il frate-detective e il sodale Adso vanno per conto loro e scoprono che dietro i delitti e i misteri c’è il venerabile Jorge, cieco burattinaio di tutta la torbida vicenda e un libro (la già citata opera di Aristotele) alle cui estremità delle pagine un potente veleno nero stendeva gli incuriositi lettori. All’esterno del monastero ridotto in fiamme dal venerabile per vendetta, è scoppiata una rivolta: i contadini affamati liberano la ragazza dal rogo e saccheggiano l’abbazia di ogni bene, i delegati papali e Gui sono costretti alla fuga, l’inquisitore ha un tragico incidente con la carrozza e giustizia terrena viene fatta. Guglielmo e Adso all’alba si allontanano dal luogo e il novizio sceglie il suo maestro all’affetto della ragazza venuta a salutarlo e di cui lui si era invaghito, ma di lei non saprà mai il nome. Romanzo e film sono molto diversi tra loro entrambi fascinosi e intensi. Il primo è un saggio di storia e filosofia con all’interno una trama gialla, il secondo mette in risalto l’altro aspetto lasciando in secondo piano il resto senza però perdere del tutto la complessità e la profondità dell’assunto. Campione d’incassi nella stagione 85-86, IL NOME DELLA ROSA ha all’attivo un’ambientazione suggestiva, le musiche ricercate di J.Horner e un ottimo casting di frati dall’aspetto FREAKS, i quali insieme alle star rimangono impressi nella memoria come la fluidità del racconto avvincente e convincente in ogni sua forma. Una volta tanto va consigliata la versione doppiata in italiano a quella originale in inglese (una babele di accenti vista la diversa nazionalità degli attori) e meritano un elogio alcuni nostri grandi doppiatori come la voce narrante di Adso (Riccardo Cucciolla), il venerabile Jorge (Renato Mori), Malachia (Gianfranco Bellini), Remigio da Varagine (Carlo Croccolo), Guglielmo/S.Connery (Pino Locchi), paradossalmente l’attore scozzese dopo la morte del suo storico doppiatore non è stato più lo stesso.
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