Regia di Eduardo Schuldt vedi scheda film
Found footage horror con il solito gruppetto di adolescenti che fa cose che dovrebbe non fare, contro ogni più scontata evidenza. Girato nel classico stile mosso, amatoriale, privo di dissolvenze (con tagli netti). Cioè a dire, dunque, girato male. Più interessanti invece alcuni effetti speciali con posseduti in levitazione. Se questo può bastare.
Per soddisfare la richiesta di un docente, sottoforma di "compito" alcuni studenti decidono di realizzare un documentario sulle reazioni degli spettatori a video macabri e sconvolgenti. Dopo aver preso in prestito le attrezzature per le riprese in 3d da un magazzino della scuola, i ragazzi osservano alcuni filmati sul web scoprendo che in un video i tre protagonisti, spettatori di un orribile chat, sono morti in circostanze misteriose. Indagando, finiscono per entrare furtivamente in un cimitero, accedendo poi a un locale attiguo nel quale sono custoditi svariati oggetti dei defunti, assieme a un proiettore e una pellicola. La curiosità li spinge a visionare il filmato che, scopriranno a loro spese, diventa fonte di maledizione. L'origine del maleficio risale al medioevo quando un prete, per sedurre la donna che amava, dopo averle ucciso il marito la fece condannare per stregoneria. Gli studenti, senza volerlo, diventano obiettivo di una vendetta cieca e spietata: quella dello spirito senza pace della innocente vittima medievale.
Il mockumentary (falso documentario) e il found footage (nastri o altri supporti video recuperati) per un lungo arco di tempo, e con tardivi esemplari realizzati ancora oggi, sono stati i due sottogeneri horror più abusati. E spesso, anche quelli in grado di produrre esiti di qualità (e contenuto) davvero mediocri. Il motivo per cui questo filone ha incrementato, e ancora incrementa, un elenco di così tanti titoli in poco tempo è piuttosto semplice: la logica produttiva impone di spendere il meno possibile nella realizzazione di un film. Niente di più adatto, quindi, che il found footage, che trova maggior forza proprio quando peggiori sono le riprese, perché imputabili ai protagonisti dilettanti e realizzate con apparecchi di scarsa resa video, tipo macchine fotografiche, telecamere di controllo o cellulari. Se nel caso dei cortometraggi la tecnica in questione può anche essere funzionale, quando si passa ai film i titoli riusciti si contano sulla punta delle dite di due mani, a fronte di migliaia di esemplari. Premessa prolissa, ma adatta a rendere conto di come tutto ciò possa combaciare anche con le aspirative di esaltati (e convinti) registi esordienti. O la và o la spacca, insomma. Ma per buona parte di questi lavori ultimamente, e per nostra fortuna, la spacca. Di brutto proprio. Nel senso che, per il novello cinesta, resta opera prima e ultima, perché il pubblico ha capito l'antifona e non abbocca più. Di sbanca botteghini (attenzione: film da ottimi incassi non significa che siano anche di ottima qualità) tipo The Blair witch project o Paranormal activity, per fortuna non ce ne sono più stati. Al contrario: i produttori (spesso gli stessi esordienti) sembrano avere investito più soldi -com'è il caso di The entity- mentre la reazione di pubblico si è fatta inversamente proporzionale. Mauricio Perez, ancora nel 2015 quando il found footage aveva già detto e dato in tutte le possibili varianti e declinazioni, non trova idea migliore che questa, sviluppata attorno a quattro odiosi adolescenti che si riprendono in continuazione, facendo cose infantili e reagendo nei modi più irrealistici. Anche The entity, infatti, soffre principalmente per la poca credibilità che sta alla base del mockumentary (chi starebbe decine di secondi a riprendere, da pochi metri di distanza, un cadavere in levitazione mentre emette parole in un linguaggio incomprensibile?). Qui gli effetti speciali ci sono e sono anche messi in scena con tanta professionalità. Se non se ne sono già visti a centinaia di found footage e si riescono a sopportare gli antipatici personaggi fingendo di volere credere alla storia, potrebbe pure divertire, vista anche la durata sintetica, contenuta cioè in 76 minuti.
"Il film, quando non è un documentario, è un sogno.” (Ingmar Bergman)
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