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La banca di Monate

Regia di Francesco Massaro vedi scheda film

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La recensione su La banca di Monate

di cherubino
6 stelle

LA BANCA DI MONATE (1976)

 

Il 1976 è l'anno in cui viene dato alle stampe il romanzo di Piero Chiara "La stanza del vescovo", evento atteso dai nostri cineasti onde trarne subito, l'anno successivo, il film omonimo di Dino Risi, protagonista Tognazzi (con la Muti): a ripetere, come avvenne, il successo ancora vivo di altro film interpretato dallo stesso attore due anni prima.

Mi riferisco a "Venga a prendere il caffè da noi" diretto da Alberto Lattuada e tratto dal romanzo di Chiara del 1964 "La spartizione" (naturalmente quella di Ugo fra le tre indimenticabili sorelle Tettamanzi).

Ancor prima (1970) il pubblico - tra cui convintamente il sottoscritto - aveva calorosamente accolto anche "Il piatto piange", dall'omonimo romanzo del '62 dello stesso scrittore, diretto da un regista meno famoso (Paolo Nuzzi) e interpretato, a mio parere egregiamente, da Aldo Maccione, con una splendida Agostina Belli.

 

Tutto questo per dire che nel 1976, l'anno di "La banca di Monate", tradurre in film un libro del popolarissimo Chiara sembrava proprio essere una garanzia di successo. Perchè non fu così? Non ho la pretesa di dare la risposta a questo interrogativo, ma credo probabile che si trovi nelle differenze non piccole che esistono rispetto ai tre film che ho citato:

1) in essi il soggetto è sostanzialmente quello originario del libro, con qualche variante realizzata però con la collaborazione diretta dello scrittore; qui no, il soggetto è profondamente modificato, al punto di apparire più di Francesco Massaro che di Piero Chiara, il quale si è limitato a collaborare con altri alla sceneggiatura;

2) quei tre film sono tratti da romanzi, questo invece da un racconto, che io peraltro non ho letto; ma spesso  la vicenda resta un po' più in superficie e i caratteri hanno un minore approfondimento a livello dei singoli personaggi: sarà un caso ma mentre quei tre film sono imperniati su due o tre figure al massimo, ben sviscerate, questo è un film più corale e lo stesso personaggio offerto a Walter Chiari non gode di una centralità paragonabile a quella dei personaggi cardine degli altri film;

3) rispetto alla fonte letteraria, quei tre film rispettano il tempo in cui è ambientata la storia ( anni '30 quello di Maccione, secondo dopoguerra i due di Tognazzi); qui si fa un salto temporale "enorme": dagli anni '20 del libro al 1949 del film; non è certo un problema da poco.

 

Quanto detto credo abbia contribuito a produrre quello che appare il maggior difetto di questo film: uno stato di incertezza, crescente, tra la commedia e la farsa. Detto sinteticamente e in parole povere e rilevato anche dai recensori che mi hanno preceduto.

 

All'inizio sembra evidente che il regista abbia l'intenzione di mostrare come già prima dei due decenni dello sviluppo (anni '50 e '60) ci fossero tutti i presupposti per un degrado morale diffuso nella società italiana; e che intenda trattare questo tema, serio, circoscrivendolo alla vita di provincia e svolgendolo con quella leggerezza che gli consenta di inserirsi col suo film nel filone, ancor vivo seppur prossimo alla fine, della commedia all'italiana.

Del tutto coerente con questo obiettivo appare infatti l'idea di aprire il film con una "Settimana INCOM" del 1949 che esalta enfaticamente tutti i meriti dei nostri governanti per le opere di ricostruzione e modernizzazione compiute nei primi anni del dopoguerra, l'aumento del benessere, le mirabili innovazioni già programmate, autostrade in primis, la solidità della nostra moneta... E mostra i loro volti compiaciuti e sorridenti, alcuni dei quali ancora in auge nel 1976.

Senonchè, troppa leggerezza tende alla farsa e, se non si sa scegliere, il risultato è peggiore di una scelta qualsiasi: credo questo sia stato il disagio in cui in regia si è trovato Massaro, con il soggetto a sua disposizione.(1)

 

Di questo stato di incertezza risentono anche gli attori.

Walter Chiari è bravo a mantenersi misurato e capace di non andare sopra le righe anche in situazioni che sembrerebbero quasi pretenderlo, ma impropriamente. (2)

Il suo Ragionier Pigorini è il direttore della banca, fatto venire da Milano e nominato tale dal presidente, industriale dolciario locale importante. "La Banca per me è come una chiesa... E di questo luogo riservato, quasi sacro, io sarò il custode". Integerrimo all'inizio, finirà per sentirsi costretto, prima, per aderire poi, alle "regole" di un "sistema" corrotto. 

È stato messo in quel posto di responsabilità perchè il figlio del presidente (e maggior azionista) non è affidabile e il padre glielo dice chiaramente: "Da me ha preso una cosa sola e un giorno di questi ce la taglio!".

Vincent Gardenia, ottimo caratterista, è l'industriale, il Commendator Paleari, che ha fondato questa nuova banca e la considera a completa disposizione della sua azienda: filo diretto, per "...avere sempre l'ombrello, con il sole e con la pioggia, chiaro?" Si è "fatto da solo", come tanti nel dopoguerra, ma gli si aggiungerà stress a stress in misura rischiosa. Parte del "merito" è di Wanda (Lia Tanzi).

Magali Noël (la Gradisca di pochi anni prima) interpreta da par suo il ruolo della moglie del ragionier Pigorini: una vera e propria ninfomane, caratteristica che si rivelerà anche utile (contro i furti) e magari non sgradita al ragioniere, che ha "un" deficit (ma forse quattro "gemelli" sono troppi). Solo, desidererebbe un po' di riservatezza. "In che senso?" "In tutti i sensi, specialmente nel senso dei sensi, ....perchè Monate non è Milano".

Paolo Bonacelli altro ottimo caratterista emerge fra tutti per l'interpretazione veramente perfetta del "faccendiere" Defendente Massera, siciliano che odora di mafia ed ha le mani in pasta con tutti (imprenditori, politici, banchieri, anche un cardinale): è di certo agevolato dal fatto che si tratta sicuramente del personaggio meglio tratteggiato e che non scivola mai nel farsesco, però il merito dell'attore andava sottolineato. 

Certo, fa pensare che anche da un film di questo tipo si lasci immaginare che dietro tutto ci sia la delinquenza organizzata di stampo mafioso. E qui anche che si tratti di persone non solo senza scrupoli ma abili e intelligenti più degli altri.

Tra gli altri interpreti, tutti bravi, cito solo quelli che ho riconosciuto: Gigi Ballista, Gianfabio Bosco (Gian) e Febo Conti, il famoso presentatore, in una delle sue rare apparizioni sugli schermi cinematografici. A Voi individuarne i ruoli.

 

Gradevoli le musiche del Maestro Trovajoli.

 

Voto: Tre stelle. Mi sembra manchi qualcosa per un giudizio "positivo". Ma si sorride e si ride pure, con qualche rimpianto.

 

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(1) Francesco Massaro, aiuto regista di Visconti nel Gattopardo del 1962, ha operato nel cinema, anche come soggettista e sceneggiatore, per 25 anni. Come regista, ha diretto solo sette film, di cui "La banca di Monate" è il secondo. Non mi sembrano titoli di grande notorietà.

(2) Del grande e sfortunato Walter Chiari mi riservo di parlare più diffusamente in altra occasione. Mi limito qui a ricordare che la sua partecipazione a questo film era per lui molto importante, trattandosi di un sospirato "rientro" dopo un periodo nerissimo: anche questa volta (e ancora in seguito)...... poteva andargli decisamente meglio!

 

 

 

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