Regia di Giuliano Montaldo vedi scheda film
Di sicuro Montaldo e i suoi co-sceneggiatori Lucio Battistrada, Armando Crispino e Giuliani De Negri non potevano immaginare quanto di profetico ci fosse in questo film, che racconta la storia di un industrialotto spregiudicato che continua ad accumulare debiti, riesce a farla franca con la giustizia e finisce addirittura per compiere un omicidio e rimanere anche in questo caso impunito. Un uomo vile, viscido, amorale, fondamentalmente impotente (e questa è la ragione per cui ostenta continuamente la propria virilità): un Berlusconi ante litteram. Ma non solo di coincidenze si può parlare, perchè l'Italia del 1965, a boom economico appena concluso, era fertile terreno per una storia di questo tipo, la cui morale si racchiude nella battuta "Avere i soldi ti permette di non pagare": il potere alimenta sè stesso e non deve giustificazioni a nessuno. Così come Zambrini compie la sua parabola trionfale in Una bella grinta (per inciso: di titoli più brutti raramente è capitato di sentirne), allo stesso modo il cavaliere di Arcore farà nella realtà, trasformandosi pian piano da losco palazzinaro con le mani affondate nel fango in vero e proprio criminale, ma un criminale ormai perfettamente in grado di aggirare accuratamente la legge. Purtroppo la forma (visiva) non corrisponde alle straordinarie intuizioni di scrittura, anche perchè Una bella grinta è in fondo il secondo film di Montaldo regista (escludendo il pasticciato - e introvabile - documentario Nudi per vivere, girato assieme agli amici Giulio Questi ed Elio Petri, e uno sketch in un film a episodi) e la sua mancanza di inventiva si nota facilmente. In particolare la parte che risente maggiormente dell'inesperienza del regista è quella centrale, durante la quale i dialoghi vengono ridotti sensibilmente (la macchina da presa segue la fuga del protagonista, solitario) e l'azione prende a correre su binari monotoni: il tutto è salvato solamente da una strepitosa colonna sonora swing, firmata dal grandissimo Piero Umiliani. Renato Salvatori è lievemente imperfetto, forse proprio perchè diretto da un regista non particolarmente esperto, ma il personaggio è assolutamente il suo: duro, scontroso, furbo ma con malizia quando non pura malvagità. Fotografia, molto bella, in bianco e nero che risalta le desolate campagne emiliane invernali in cui la storia si svolge, a cura di Erico Menczer, che aveva appena finito di girare La vita agra dell'amico (di Montaldo) Lizzani. 6/10.
Industrialotto spregiudicato, nei debiti fino al collo, decide di costruire una nuova fabbrica per ottenere così il denaro necessario a estinguere i debiti. I finanziatori però scoprono la sua situazione disasatrosa e lui si dà alla fuga. Ma quando sa che la moglie lo tradisce, torna a casa per vendicarsi.
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