Regia di Alberto Grifi vedi scheda film
Ventidue caotici minuti che sanno molto di improvvisazione, di 'buona la prima' per quanto riguarda la recitazione (alcuni personaggi vengono ripresi mentre dialogano in spiaggia o provano uno spettacolo teatrale in una stanza), la cui forza principale sta però nell'elaborazione tecnica studiata da Alberto Grifi per quanto riguarda l'effettistica ottica messa in uso. A detta dello stesso regista, le lenti e i filtri che vengono applicati alla macchina da presa dovrebbero ricordare, man mano che la pellicola procede, l'evoluzione della specie umana: dal fish eye del pesce alla visione 'normalizzata' del mammifero. Il risultato è del tutto sconnesso, al limite del delirante: altra sensazione voluta, nel segno della sperimentazione psichedelica tramite sostanze stupefacenti, in quegli anni molto in voga presso le giovani generazioni; troppo sconnesso e delirante per poter essere apprezzato pienamente nelle sue pur valide intenzioni, probabilmente. Dietro al lavoro c'è lo studio approfondito dell'opera di Aldo Braibanti, scrittore, drammaturgo e filosofo osteggiato in ogni modo (carcere compreso) dai poteri alti, colpevole innanzitutto di essere un libero pensatore dalle idee sovversive (comunista, ateo, omosessuale). Transfert per camera verso virulentia vede la partecipazione in scena, oltre che dello stesso Braibanti, di Lou Castel (in quel momento attore in forte crescita di popolarità), della poetessa Patrizia Vicinelli e di un altro interprete alle prime armi, ma di futuro successo: Massimo Sarchielli; colonna sonora: Vittorio Gelmetti. Grifi, nome ancora pressochè sconosciuto, si sta facendo le ossa. 4/10.
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