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Francesca

Regia di Luciano Onetti vedi scheda film

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La recensione su Francesca

di alan smithee
6 stelle

LOS HERMANOS ONETTI:

-Sonno profondo: voto ***1/2

-Francesca: voto ***

-Los Olvidados: voto **1/2

-Abrakadabra: voto ***

"Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l'etterno dolore, per me si va tra le perduta gente" (Dante Alighieri)

Due "detective" (si chiamano così, in modo formale tra di loro, pronunciando la parola così come la si scrive, tradendo un curioso stile spagnoleggiante che risulterà il refrain bizzarro di tutto il film, doppiato sempre e solo da due voci di due soli doppiatori) di nome Moretti e Succo, sono sulle tracce di un serial killer che perseguita la vita di una altrimenti tranquilla cittadina di provincia italiana, inscenando veri omicidi sulla falsariga di episodi della Divina Commedia. Questo erudito collegamento avvicina i due ispettori ad un esperto conoscitore del Poeta che, paralizzato sulla sedia a rotelle, subì tempo addietro il rapimento della figlioletta Francesca, ora assente da casa da circa quindici anni.

La vicenda farraginosa e zoppicante quanto basta per farsi voler bene, è solo un presupposto che permette ai due fratelli tuttologi e perfezionisti ossessivi, di dar vita ad un teatrino studiato in ogni minimo particolare, al fine di far rivivere i fasti di un genere che ha dato molta esportabilità al cinema italiano degli anni '70.

Titoli di testa e di coda rigorosamente in italiano (splendido alla fine leggere: "avete visto... Francesca", in cui i cognomi di molti degli interpreti, personale tecnico, produttivo e sin delle maestranze, risulta portare assonanze italiche perfette per rendere credibile la circostanza.

Lungo la storia appaiono testate di giornali italiani, il whisky J&B, la collana Giallo Mondadori e altre meravigliose memorabilia d'epoca; gli interpreti, doppiati scientemente in modo rozzo, parlano un italiano piuttosto fluente, ma che non può fare a meno di tradire una influenza spagnoleggiante che lo rende simpatico, un po' buffo, ma anche una dimostrazione ulteriore dell'accanimento degli autori nel voler rispettare tutte le caratteristiche di un filone che gli stessi dimostrano di conoscere sin nei dettagli più scandagliati.

Da quel punto di vista l'operazione, in questo film come negli altri due che completano la trilogia girata dagli Onetti (si tratta di Sonno profondo e Abrakadabra), denota un impegno maniacale che nemmeno l'altra mirabile coppia di registi appassionati folli del genere, quei belgi parimenti folli conosciuti come Forzani e Cattet (autori interessantissimi e ingegnosi di Amer, L'etrange couleur des larmes de ton corps e Laissez bronzer les cadavres) riesce ad eguagliare.

Nel raffronto inevitabile tra le due coppie, se Forzani/Cattet vince senz'altro per la capacità di sviluppare una storia più composita ma anche, a suo modo lucida, gli Onetti, che si occupano pressoché di tutto, accentratori dalla regia, alla produzione, ai singoli dettagli sino alla musica, vincono invece quanto ad aderenza fedele al genere giallo italiano, del quale trascrivono e rielaborano ogni dettaglio, senza peraltro copiare di sana pianta, ma sapendone cogliere appieno i dettagli attraverso le loro storie, un po' sghembe e traballanti, ma accettabili come puro presupposto per ricreare ed omaggiare un genere.

A vincere, in questo Francesca, sono i particolari, i singoli dettagli che i due registi sanno cogliere, riprodurre, reinterpretare senza copiare semplicemente di sana pianta: caratteristiche che, dai '60 in avanti, hanno reso grande il filone italiano d'epoca consacrato con successo internazionale al giallo efferato, al thriller insanguinato colmo di dettagli macabri: quel genere portato avanti con enfasi, impegno ed azzardo da maestri internazionalmente noti e rivalutati come Mario Bava, e poi proseguito da autori divenuti simbolo del cinema di genere come il Dario Argento della "trilogia animale", e poi passato in mano ad artigiani scaltri mossi prima di tutto da intenti commerciali, ma dotati anche di un certo carattere che ha inteso oggi rivalutarne opere considerate solo per la capacità di fare soldi a palate: registi come Sergio Martino o Aldo Lado ne costituiscono una valida, coerente rappresentanza.

 

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