Regia di Eiichi Yamamoto vedi scheda film
Cartoon adulto e dall'alto effetto erotico, il misconosciuto film giapponese di inizio anni '70 ci introduce in un Medioevo buio ricco di ingiustizie e privazioni, rendendoci nel contempo complici di un diavolo guardone e tentatore che si trastulla sulle disgrazie altrui. Notevole nei suoi eccessi, nei disegni stordenti e nell'abile regia mobile.
Animazione giapponese erotica per adulti dei primi anni Settanta, misconosciuta in Europa, che riapproda in qualche cinema francese e che completa la trilogia “Animerama” prodotta da Ozamu Tezuka, e formata anche da “Le mille e una notte” e “Cleopatra”.
In un Medioevo molto europeo, una giovane bellissima, Jeanne, donna va in sposa ad un onesto manovale, Jean, che tuttavia è costretto dalle usanze locali, in una sorta di jus primae noctis, a cedere la propria consorte nella prima notte al suo padrone feudale, signore del castello e del villaggio.
La circostanza lo affligge ma il dovere rende tutto ciò tristemente inevitabile.
La donna, perduta la propria purezza col viscido signore, decide di vendicarsi e, circuita dal diavolo, viene a stringere un patto con lui sino a perdere ogni inibizione e a divenire ancor di più un puro strumento sessuale, tra l’invidia, l’incomprensione e l’ostilità di ogni altro essere vivente, Jean compreso, che la abbandona e ripudia, salvo piangerla disperatamente e tentare in extremis di salvarla quando, condannata al rogo, verrà legata in mezzo alla piazza e data alle fiamme come una strega, mentre lui, ferito a morte, perirà nel suo stesso istante.
Nel film, che più che con l’animazione, rara e ridotta al minimo, procede con lunghe carrellate agili e panoramiche sulle pagine disegnate, la sottomissione, la malvagità, la necessità di liberazione dal giogo di una schiavitù malsana anche a costo di finire costretti verso una ancor più pericolosa e famigerata e sofisticata forma di cattiveria, è visto nel suo più crudo contesto malsano, ma anche con la libido di una sessualità che prorompe e inebria sia il tentatore, sia la donna tentata e diretta alla dannazione in fin di bene.
Un doppio risvolto, poetico e malsano, caratterizza tutta la vicenda, in cui l’abbandono all’erotismo rappresenta prima di tutto il desiderio di libertà di una donna soggiogata e segregata, costretta a servire e a farsi usare come un oggetto da buttare, anzi bruciare, dopo che lo si è usato a proprio piacimento e ludibrio.
I personaggi hanno tratti tipicamente, indelebilmente tratti fisici europei, e finiscono per anticipare una tendenza delle anime giapponesi a rendere esportabile il prodotto verso un mondo occidentale che ancora a quell’epoca, pareva incontestabilmente posizionato su prodotti disneyani inossidabili e impossibili da sconfiggere.
L’effetto scenico, erotico e liberatorio della storia sono esemplari e molto efficaci: il film si arricchisce di una regia dinamica che supplisce una certa fissità d’immagine probabilmente voluta, sostituita da una certa disinvoltura di inquadratura che predilige inizialmente il tratto al colore, almeno fino a che la tentazione finisce per divampare nei suoi rosso fuoco tipici della passione, del piacere, ma anche del male, della corruzione in atto, del sangue che sgorga dopo la deflorazione prepotente ed ingiusta del ricco signore.
Nudi femminili prorompenti e peccaminosi della stupenda protagonista si alternano con un contrasto devastante alla rozzezza sfrontata di un popolo che obbedisce e patisce e di un potente cattivo che appare più torvo e minaccioso di un diavolo tentatore e giocherellone, che si materializza spesso in simboli fallici ironici ed elusivi.
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