Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
“Però questo Johnny Boy è come il tuo amico Groppi: mezzo matto. Capisco che tu lo vorresti aiutare per via della nostra famiglia e della sua famiglia, è una cosa molto bella, you understand? Però statti attento, non sciupare tutto. Gli uomini per bene vanno con gli uomini per bene. Ogni simile attira il suo simile, non te lo dimenticare.”
“Sì, zio.”
Little Italy, quartiere di New York, primi anni '70: Charlie (Harvey Keitel) è un giovane con la testa sulle spalle, in attesa di inserirsi nella società una volta ottenuto in gestione un ristorante, sogno della sua vita, dal facoltoso zio Giovanni (Cesare Danova), “impostato” boss locale. Cattolico praticante in crisi, Charlie conduce la classica vita di bisboccia del giovanotto italo-americano di Little Italy fra feste, donne, partite di biliardo che degenerano in scazzottate e risse che si appianano davanti al bancone di un bar.
Fra i suoi amici Charlie ha particolarmente a cuore la sorte di Johnny Boy (Robert De Niro), stupido e infingardo che semina debiti ovunque, oltre a disturbare gratuitamente l'ordine pubblico. Una volta fidanzatosi con la vicina di casa Teresa (Amy Robinson), cugina di Johnny Boy sofferente di epilessia, Charlie si ritrova a dover mediare con l'amico Michael (Richard Romanus) per un ingente debito contratto da Johnny e con lo zio Giovanni, che non vede di buon occhio quella famiglia per il completamento della formazione del suo serio nipote...
Non è l'esordio ma è comunque il primo film scritto da Martin Scorsese, giovanotto di origini italiane che ben conosce il mondo ritratto fedelmente in “Mean Streets”, film datato 1973 che gli è valso l'accesso alla notorietà e ad una carriera in rapida ascesa negli anni successivi.
La genesi dello Scorsese regista è anche la sua genesi personale: proveniente da una famiglia originaria dei dintorni di Palermo e stabilitasi a New York, Martin progetta “Mean Streets” in poco tempo semplicemente girando in macchina per le sue strade natie e cercando di assorbire e rielaborare uno spaccato di vita peculiare, violento ma festoso, uno spaccato che sa di autobiografia. Ne consegue una sceneggiatura che ha i connotati del ritratto e non del racconto: la trama non evolve, non succede pressoché niente, dialoghi (e doppiaggio italiano) non sono d'eccellenza e la prima parte fatica molto a discostarsi dal bozzetto macchiettistico. Migliora con decisione nella seconda parte, quando i personaggi assumono stratificazioni significative e si comincia a respirare drammaticità, tensione, violenza che trasudano da una fotografia lividissima.
Ad uno Scorsese che si permette qualche azzeccato virtuosismo in fase di regia vengono in rinforzo una variegatissima colonna sonora (che spazia fra Rolling Stones, il doo-wop delle Ronettes e la canzone napoletana di Renato Carosone e del tenore Giuseppe Di Stefano) e l'interpretazione intensa di Harvey Keitel, mentre l'esaltato De Niro, presentato a Scorsese dal collega De Palma con cui aveva mosso i primi passi nel cinema, è qui secondo me costantemente sopra le righe e monocorde nei panni del personaggio più odioso e sboccato, lontano anni luce da quello che sarà nel giro di pochi anni in “Taxi Driver” e “Il cacciatore”, mentre la carriera di Keitel avrà una brusca parabola discendente in quello stesso periodo.
“Mean Streets” è potente e contiene già molto dello Scorsese che sarà toccando temi come religiosità, senso di colpa e di divisione, fedeltà nel ricostruire i contesti sociali, ma gli manca il senso dell'equilibrio, il controllo del proprio potenziale, che si farà prepotentemente largo solo tre anni dopo col capolavoro “Taxi Driver”.
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