Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
Un film da assumere tutto d'un fiato: "Mean Streets" è come una boccata d'aria viziata, inspirata in un giro di giostra, in un carosello per le strade durante il quale si raccolgono le scorie di una vita "spostata". L'effetto è quello di un lungo piano sequenza sul "male", inteso, più che altro, come disaffezione verso le buone regole del vivere sociale ed abitudine alla trasgressione. Tuttavia l'attaccamento al "vizio" non assume i toni di una schiavitù feroce, ma si mantiene, apparentemente, al livello di una benevola familiarità, spalmata con allegria sulla vita quotidiana, tra una bevuta con gli amici ed una rissa. Fino all'ultimo rimane in piedi l'illusione di un malcostume dal sorriso innocente, che bruciacchia appena la pelle, come la fiammella di una candela. Però, in realtà, si tratta di un piccolo preludio al fuoco dell'inferno, che infatti viene richiamato, a più riprese, con citazioni bibliche pronunciate come sinistre formule iniziatiche. Eppure in questo film non c'è "pianto e stridore di denti", perché Scorsese, com'è nel suo stile, guarda ai suoi personaggi con l'indulgenza tipica di un racconto per bambini; che poi non è nient'altro che un onesto distacco narrativo. La storia di "Mean Streets", come quella di "Goodfellas", si libra nell'aria in un'atmosfera candida e sospesa, e quasi assente, per il semplice motivo che le manca quel sottotesto accusatorio che, nel genere noir, solitamente, fa da ombreggiatura alle cattive azioni. Scorsese rifugge la tetra poesia della débauche e, pur parlando di clan e di quartieri, si astiene dalla psicologia della vita familiare e dalla sociologia delle razze, delle culture e delle tradizioni. Egli ci accompagna, invece, con dolce determinazione, attraverso la cronaca di tutto ciò che le persone fanno e dicono, con una serena devozione alla concretezza, e la sincera passione di chi osserva, e già così prova simpatia.
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