Regia di Martin Koolhoven vedi scheda film
Preoccupato dai voti visti online (e dalla nazionalità della produzione), mi sono approcciato con molta paura a questo Brimstone. Eppure, già dalla prima bellissima inquadratura, mi sono ricreduto, fino a terminarlo (da 5 minuti mentre scrivo questo commento) e ad amarlo.
BRIMSTONE può essere considerato uno dei migliori western degli ultimi anni. Una produzione olandese riesce, con una decina di milioni di dollari a mettere in scena una pellicola che può benissimo tener testa alle grandi produzioni hollywoodiane.
La tensione e la disperazione per la protagonista crescono man mano che la pellicola si avvicina alla conclusione, grazie soprattutto alla scelta del regista/sceneggiatore di raccontare una storia divisa in quattro capitoli non in ordine cronologico.
Ottimi personaggi, su tutti Guy Pearce, che di capitolo in capitolo ci appare sempre più temibile e spietato (e soprattutto odioso).
Ma anche Dakota Fanning sorprende con una difficile e sicuramente fantastica performance.
E qui inizia la parte della recensione staccata dal piano puramente tecninco ed incentrata su quello che potrebbe essere quello di cui la pellicola vuole parlare. E sì, anche in un western cupo e violento (in alcuni punti addirittura quasi splatter - cosa che può essere vista in positivo o in negativo a seconda dei "gusti" di chi lo guarda) c'è spazio per profonde riflessioni.
In primis quello delle "regole" di una società, che nel film è quella del tempo, ma che potrebbe essere benissimo quella dei nostri giorni. Il fatto che cose che oggigiorno potrebbero sembrarci oscene, sono assolutamente sopportate da un mondo maschilista, bigotto e ipocrita come quello rappresentato (non voglio rovinarvi la sorpresa anticipandovi nulla). Per tutto il film c'è un continuo richiamo alla "punizione", a quello che è, a quello che la società considera meritevole di essere punito, a dispetto che sia giusto o sbagliato. All'inizio del film è presente anche una scena che poco dopo porterà ad un discorso che è facilmente ricollegabile al moderno problema morale dell'aborto. Alla fine, chi ha colpa, chi merita di essere punito? E chi lo viene fino in fondo?
Ma il VERO fulcro attorno al quale il racconto vuole ruotare è quello della figura della donna nel West: sfruttata, non considerata, praticamente schiavizzata. Il lungo viaggio che lo spettatore percorre assieme alla protagonista è l'inumano cammino della ricerca di libertà, della possibilità di avere una vita propria, di prendere le proprie decisioni.
In contrasto, possiamo vedere la figura del Reverendo come il simbolo del pensiero tirannico di quel tempo: "La moglie non è padrona del proprio corpo, che cede al marito". E' solo una delle frasi dette dal peggiore degli uomini che una comunità però ammira ed accetta, con tutte le sue barbarie, solo perchè porta un colletto bianco.
Ed in questo mondo, chi la pensa diversamente, chi non vede il gentil sesso come un sesso inferiore, viene perseguitato e punito a sua volta.
Ma alla fine del cammino, il dolore patito e le punizioni ricevute saranno un prezzo sufficiente per vivere finalmente in libertà.
Tutto questo discorso potrebbe essere quello di cui voleva parlare il regista... Oppure è stata solo un'impressione e non voleva parlare di niente. Succede fin troppo spesso con i film, ma volgio credere che questo non sia il caso. E anche se lo fosse, rimane davvero un bel film, magnificamente raccontato e dall'atmosfera piacevolmente soffocante, nonostante sia stato ingiustamente ignorato da gran parte del pubblico e della critica
Voto: 8/10 (contando che i miei sproloqui sui messaggi del film siano veri!)
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