Regia di Franco Giraldi vedi scheda film
Giulio (Ugo Tognazzi) è un avvocato romano di successo, scapolo,abituato ad avere tutto quello che vuole (ha quarant’anni e viene definito “attempato”) .
Quando s’incappriccia di Ivana (Isabella Rei), una diciassettenne formosa casualmente incontrata in un bar, comincia ossessivamente a corteggiarla, intrufolandosi anche in casa dei suoi genitori e carpendo la promessa di matrimonio.
La bambolona accetta malvolentieri la corte, si mostra scostante e respinge le sue avances, disinteressata, indifferente, apatica, fredda. Giulio invece ha fretta, ma quanto più il suo assedio si fa pressante, tanto più la ragazza lo respinge. Le schermaglie fra lui che l’assilla e lei che resiste diventano progressivamente più estenuanti.
Alla fine tutto il lungo gioco si rivela una montatura di lei per estorcergli dei soldi, pagare i debiti del padre e mettere da parte un gruzzoletto per sposare un amico d’infanzia.
Il film ha due pregi che però emergono con chiarezza e sono più evidenti ed apprezzabili a cinquanta anni di distanza (allora - nel fatidico ’68 - erano forse meno percepibili, anche se ben presenti nella intelligenza registica di Franco Giraldi e, soprattutto nella raffinata sensibilità del libro di Alba de Cespedes adattato da Ruggero Maccari).
Il primo pregio è quello di rievocare con disincantata lucidità lo spaccato sociale delle Roma (anzi, dell’Italia) degli anni ’60, piena di ipocrisie e avidità, di voglia di cambiamento, di arrampicatori, di ansiose e confuse incertezze etiche, di bisogni ancora reticenti di scrollarsi da dosso bigottismi e inibizioni (i cui segni sono evidenti nelle concitate e inconsuete scene di palpeggiamenti).
Il secondo, quasi conseguente al primo, è quello di ispirare dopo tanto tempo una tristezza infinita: una grande pena per la ragazzona costretta a sottostare a mille pressioni, ma anche per il povero avvocato che da predatore si rivela preda, scisso fra ossessioni erotiche e ipocrisie borghesi; una imbarazzata compassione per il domestico pervertito vittima dell’avidità di un borgataro; una fastidiosa (in)sofferenza per i genitori di lei soffocati dai debiti e ipocriti; una desolata irritazione per gli infelici assalti alla biancheria intima, segno di un’emancipazione ancora tristemente negata.
L’ultima scena ci mostra Giulio, tornato alla sue abitudini di viveur, inquadrato attraverso le sbarre del letto, la sua prigione.
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