Regia di R.D. Braunstein vedi scheda film
Inappropriatamente volgare, per dialoghi e concezione, I spit on your grave 3 procede sulla linea della violenza gratuita (perseguita da donne ai danni degli uomini), finendo per rendere il supposto femminismo di base, inaccettabile. Dicotomico, manicheo, retorico e purtroppo, tristemente, pensato e realizzato.
Jennifer (Sarah Butler), dopo avere mutato identità cambiando nome in Angela, per tentare di superare il trauma legato al passato partecipa ad una terapia di gruppo. Stringe amicizia con Marla (Jennifer Landon) con la quale instaura un morboso rapporto fatto di spedizioni punitive: il primo a subire una violenta aggressione è Ron (Christopher Hoffman), patrigno di Cassie, ragazzina presente nel gruppo che ha denunciato gli atti pedofili subiti dall'uomo. Quando Marla viene trovata morta, la polizia sospetta del violento ex. Angela, ormai completamente impazzita, da corso ad un'allucinata scia di sangue uccidendo prima l'ex di Marla, quindi Ron e poi un istruttore di atletica che ha violentato -uscendo pulito dal processo- la figlia di Oscar (Doug McKeon), spingendola al suicidio.
Seconda -dopo 100 degrees below zero- regia di R.D. Braunstein, cineasta qui al servizio di una squallida sceneggiatura opera di Daniel Gilboy, già autore anche dell'altrettanto avvilente script di I spit in your grave 2 (ultimo film del ciclo arrivato in Italia direttamente in home video). Cavalcando un registro diseducativo, eccessivo e volgare, I spit on your grave 3 riesce a rendere quasi odiosa la bellezza femminile, facendo parlare in maniera scurrile e cinica le due "ritardate" protagoniste. Che passano così dal lato di vittime a quello -ben meno edificante- di carnefici. Fortemente sessista, impostato (falsamente e ipocritamente) a favore di un pubblico femminile, il film procede prevedibilmente sul tenore di squallide trovate in linea con il predecessore (la sodomia a morte di Ron, con un tubo metallico, è cosa da film porno più che drammatico o horror).
Torna Sarah Butler, nei panni di Angela/Jennifer, in questo ideale sequel del sequel di un reboot (sia perdonato l'intricato gioco di parole, quasi da scioglilingua, ma tant'è). Nonostante la scarsa dose di violenza esplicita -di fatto limitata alla singola scena della sodomia con tubo e mazza- messa in atto dalla protagonista, Sarah Butler riesce a provocare inarrivabili picchi di antipatia, per un comportamento al limite del bestiale anche in contesti immotivati (ad esempio nei confronti della psicologa, o del gentile collega di lavoro). Zarchi, autore del film originale (che è ben altra cosa dal remake e i suoi seguiti), è rimasto legato al soggetto indelebilmente non riuscendo a fare -cinematograficamente- nient'altro: oltre a produrre il reboot e i due sequel, ha messo mano al lunghissimo (quasi 150 minuti) I spit on your grave: deja vu (2019), il vero seguito di Non violentate Jennifer (questo il titolo italiano attribuito al capostipite realizzato nel 1978, da cui derivano tutti i successori), girato a livello amatoriale del quale, come poi degli altri, non se ne sentiva davvero bisogno.
In risposta al nauseante contenuto veterofemminista con cui gli scaltri autori hanno confezionato I spit on your grave 3, sia concessa una citazione di opposta prospettiva: "Ci sono uomini così perversi che dicono che le donne sono tutte sgualdrine, solo perché una non volle esserlo.” (Benito Feijoo)
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