Regia di Salvo Cuccia vedi scheda film
Torino Film Festival 2015
Lo Scambio (2015) di Salvo Cuccia.
Palermo 1995. Due ragazzi palermitani vengono uccisi a sangue freddo mentre passeggiano all'interno del mercato di Ballaro'. "Il Commissario" e la sua squadra, composta da quattro persone, indagano sull'accadaduto.
Questa, in estrema sintesi, potrebbe essere la trama de Lo Scambio, primo lungometraggio del regista Salvo Cuccia, Palermo classe 1960, ma così non è. Il fatto di cronaca, realmente accaduto, ha il valore intrinseco di essere il fattore scatenante per il viaggio "all'interno" del sentimento mafioso, nell'anima delle persone che pensano e vivono di Mafia. La sceneggiatura, scritta dal regista insieme a Marco Alessi, Federica Cuccia e al magistrato Alfonso Sabella, riduce al minimo i dialoghi tra i personaggi, lasciando ampio spazio ai silenzi e alle visioni dell'autore, che penetrano nel "mondo oscuro" di chi vive la quotidianità del Male. Tutti i protagonisti non hanno un nome proprio, sono Il Commissario o l'Autista, la Moglie del Commissario o il Geometra. I luoghi stessi degli accadimenti, sebbene il dialetto di Palermo non lasci dubbi, sono confondibili ed assimilabili ad altre città italiane ( o del pianeta). I sentimenti espressi o taciuti, male appartengono ad una terra conosciuta per loquacità e calore, semmai, per la freddezza dei protagonisti, le sensazioni ci proiettano in situazioni "nordiche", luoghi nebbiosi e gelidi, come il cuore del "Commissario" e dei suoi "sgherri". Tutto e tutti sono doppi. Il processo inarrestabile di degrado morale produce il sortilegio della doppia personalità, oserei dire una estremizzazione di pirandelliana memoria, in cui la crudeltà del Commissario "muore" tra le mura di casa, al cospetto della adorata Moglie, per "rinascere" in mezzo alla strada, tra la sua gente.
Per questo motivo la Moglie ha scelto di non uscire più di casa, sente gravare su di sè, l'insopportabile peso del pensiero "doppio", dell'etica di comodo, della morale caritatevole che non ha seguito nel quotidiano. Il mondo de La Moglie del Commissario finisce sulla soglia di casa, abitato da ricordi pesanti (il fratello infame, il figlio tanto desiderato, il bambino rapito) e che il regista trasforma in metafisico, con il risultato di rendere ancora più allucinato e ipnotico "il viaggio verso gli inferi". Lei sola, unico personaggio femminile dell'opera, sceglie di non vivere la bivalenza etica che proviene dall'esterno, quasi a voler indicare una soluzione (estrema) a chi vive la normalità del Male (estremo).
Anche l'Autista del Commissario, a tratti, sembra volersi slegare dalla logica mafiosa del dolore, ma il radicamento cui è stato sottoposto, non gli da la possibilità di alzare lo sguardo: si divide così tra le piccole mansioni casalinghe ( la spesa al mercato) e le telefonate alla compagna, mentre i suoi "compari" strangolano un innocente. Il Geometra, ignaro del precipizio che si è spalancato sotto i piedi, è la vittima sacrificale nel piatto della causa/effetto che lega tutti i personaggi (a volte in maniera inconsapevole): egli diviene Lo Scambio per eccellenza, l'errore che sublima il Potere malvagio.
Gli autori del film muovono le pedine come in una sciarada, proiettandole nel contesto storico oscuro del passaggio tra Mafia patriarcale e Mafia del business puro, evitando a proposito orpelli gangsteristici o mitizzazioni da "action movie", concentrandosi semmai, con estremo coraggio artistico, sulla banalità del "male quotidiano".
Il regista Salvo Cuccia confeziona un'opera prima di alto valore visivo e lirico, ribaltando alcuni canoni che tradizionalmente appartengono a questo genere di argomento ( esclude le sparatorie, le coppole e i baciamano) e si insinua tra i circuiti elettrici spenti delle menti criminali: riprende la metodicità del Male nei nefasti gesti elementari e riconduce la Mafia nei squallidi recinti della mediocrità, non concedendo alcuna possibilità di riscatto. Ottimi tutti gli interpreti, da Filippo Luna (Il Commissario) a Paolo Briguglia (l'Autista), da Maziar Firouzi(il Geometra) a Vincenzo Pirrotta (il Pelato), così Tommasso Caporrimo (il Capellone). Un plauso interpretativo a Barbara Tabita per aver saputo infondere il senso di drammatico disagio della Moglie e a Giovanni Cintura (l'uomo dell'officina) per il volto espressione di un popolo.
Viva il Cinema Italiano.
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