Regia di Ermanno Olmi vedi scheda film
Terzo lungometraggio del bergamasco Ermanno Olmi dopo Il tempo si è fermato e Il posto, presentato al Festival di Cannes scatenando l'entusiasmo di Rossellini e Godard: l'attenzione verso le condizioni di vita e di lavoro degli operai, emersa nell'attività documentaristica dei suoi esordi dietro la macchina da presa (oltre una trentina di produzioni realizzate per la sezione culturale della Edisonvolta, l'azienda per cui lavoravano sia lui che sua madre, che gli affidò l'incarico), costituisce l'intelaiatura più immediatamente identificabile anche di questo I fidanzati, a cui Olmi stavolta accosta l'indagine quotidiana del diario sentimentale, trasfigurandone le componenti più intime e sofferte nelle vicende dei due giovani protagonisti, Giovanni (Carlo Cabrini) e Liliana (Anna Canzi). Conosciutisi in una sala da ballo di Milano, i due fidanzati sono costretti a separarsi proprio quando il loro rapporto inizia a manifestare i primi segnali di crisi: Giovanni, operaio specializzato, deve, infatti, per ottenere un avanzamento di carriera, trasferirsi per 18 mesi in una filiale siciliana dell'azienda. Prova a gettarsi a capofitto sul lavoro, ma la lontananza da casa, affetti ed abitudini rendono proibitivo l'adattamento alla nuova realtà: a salvarlo dalla solitudine giungeranno inaspettate proprio le lettere che riceverà dalla sua Liliana, grazie alle quali scoprirà che quel rapporto creduto morto ha ancora un cuore pulsante che lo tiene in vita. I fidanzati è un film sulla solitudine, sul "mal de vivre", sulle storture sociali amplificate dal boom economico, sull'alienazione dei sentimenti, sull'incomunicabilità. Olmi ne osserva i dettagli con apparente distacco, dall'incipit muto che introduce i titoli di testa alla sequenza ambientata nelle saline o all'arrivo dell'ambulanza nella fabbrica dopo un incidente sul lavoro, immergendo la narrazione nel grigiore della magnifica fotografia di Lamberto Caimi, suo fedelissimo operatore già da qualche anno, e affidando all'andamento straniante del racconto, che alterna lancinanti silenzi alle musiche della sala da ballo o a quelle diffuse dagli altoparlanti delle radio (la colonna sonora è curata da Gianni Ferrio), e ai flashback del passato il compito di sottolineare gli scarti drammaturgici del presente: "Mangiano pane e limone o pane e carrube e il resto lo mettono via per pagare i debiti", commentano gli operai settentrionali in trasferta, e l'esplosione di vitalità della festa paesana sottolinea ancor di più la loro estraneità con il mondo che momentaneamente li ospita (e Olmi, infatti, ne evidenzia in un flashback lo scarto surreale con le danze carnevalesche della sala da ballo milanese). Le evoluzioni della storia d'amore dei due fidanzati vengono tratteggiate tra le pieghe del racconto, componendosi man mano sullo schermo per accumulo di dettagli, che Olmi traduce stilisticamente con grazia e lucidità, tra realismo ed introspezione psicologica, immergendo cronaca sentimentale e ritratto ambientale nei toni intimistici della narrazione e stemperandone l'amarezza di fondo con la poesia dello sguardo. Sarà proprio la lontananza a riavvicinare i due innamorati, donando loro la consapevolezza degli sbagli commessi e che stavano trascinando il loro rapporto nella routine, errori, abitudini e pigrizie spazzati via dal violento e simbolico temporale che conclude il film.
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