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I fidanzati

Regia di Ermanno Olmi vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su I fidanzati

di obyone
8 stelle

 

scena

I fidanzati (1963): scena

 

Nel solco del neorealismo Ermanno Olmi aveva tratteggiato un cinema di sentimenti e aspettative crescenti verso una società industriale che portasse progresso e benessere. Non s'era scostato dal modello originale prediligendo i volti comuni di attori non professionisti e le inflessioni dialettali della sua Lombardia. Avrebbero dato un'impronta realistica al suo cinema diviso tra il canto della natura e l'esaltazione dell'ingegno umano capace di piegare l'indomita potenza del creato al proprio volere. Le facce e i corpi piegati dalla fatica e la giovinezza euforica e vigorosa ritratti da Ermanno Olmi rimasero imprigionati nelle prime pellicole per un battito di ciglia. Ancora oggi da quei volti traspaiono sentimenti ed emozioni nonostante il cinema li abbia restituiti quasi immediatamente al lavoro, quello quotidiano, manuale, onesto, da cui la maggior parte degli attori di Olmi proveniva.

Fu così che Natale, il custode della diga ne "Il tempo si è fermato" tornò alle sue mansioni mentre il giovane Roberto Seveso continuò a fare il cineoperatore per lo stesso Olmi negli anni a venire. I dolci e fanciulleschi lineamenti del sedicenne Sandro Panseri, che non avrebbe mai creduto di passare il provino per la parte da protagonista ne "Il posto", ebbero maggior visibilità ma per loro e per l'ovale incorniciato da un cappello di paglietta chiaro arrivò il tempo della oblio poco più tardi.

Se Loredana Detto, la bella Magalí di cui si innamorava il giovane Domenico interpretato dal Panseri, divenne moglie del regista, altri due protagonisti del cinema di Olmi si ritagliarono un posto al sole per poi scomparire dietro un'effimera nuvola di successo: i "fidanzati" Anna Canzi e Carlo Cabrini. Lei ebbe un po' più fortuna tra cinema e televisione. Lui invece ne ebbe poca, davvero poca e morì d'infarto a soli cinquantadue anni.

Carlo Cabrini conobbe Olmi alla fine di un turno in fabbrica. Lavorava per la "Brown-Boveri" con sede in Piazzale Lodi a Milano. Il regista stava cercando un attore che sapesse lavorare al tornio e ballare il liscio. La ditta gli diede l'aspettativa e Cabrini se ne andò in Sicilia con la troupe che avrebbe immortalato l'isola e i cantieri di Priolo. Trentasettenne, undici anni più vecchio di Canzi che di recitazione già ne sapeva un po', a contrario di lui, Cabrini aveva la faccia credibile dell'operaio che lasciava la terra natia per cercare fortuna altrove. Olmi prese due piccioni con la stessa fava. Raccontò l'esodo, alquanto insolito, degli operai specializzati da nord a sud e si occupò di relazioni adulte forse ispirate alla storia d'amore con Loredana Detto. La differenza d'età tra il Cabrini e la Canzi era molto simile a quella tra il trentaduenne regista e la diciassettenne protagonista de "Il posto" sposata tre mesi prima della presentazione a Cannes de "I fidanzati".

Coincidenze? Forse. Di sicuro non c'era bisogno di attingere all'esperienza diretta per portare in scena un amore stanco e claudicante. Ogni rapporto divenuto abitudinario o fiaccato dalle difficoltà quotidiane poteva essere quello fra Liliana e Giovanni. Ogni coppia italiana poteva essere Liliana e Giovanni, a nord come a sud.

Forse Giovanni si era stancato di Liliana e decise di andare in Sicilia attratto da una paga migliore o dalla possibilità di allontanarsi e rompere con il passato. Forse Liliana era rimasta su al Nord sperando che Giovanni la tradisse e si trovasse una donna in Sicilia. Niente di meglio che avere una scusa per rompere un fidanzamento indesiderato. Olmi raccontò il disagio e l'indifferenza nel mezzo di una serata danzante e come già aveva fatto con il film precedente inscenò, tra la gente ed il divertimento, la solitudine dell'individuo. Le labbra corrucciate di Liliana e Giovanni non avevano più nulla da dirsi ed i corpi irrigiditi non avevano slanci di passione da scambiarsi per mantenere acceso il sentimento.

A mio avviso "I fidanzati" è un film molto simile ai precedenti e per certi versi molto diverso. Ancora una volta Olmi sceglieva di raccontare l'Italia del boom economico e dell'industrializzazione e lo faceva senza tralasciare gli aspetti più drammatici. Mostrava la morte sul lavoro, lo smarrimento dei migranti, e la ritrosia di una Sicilia riluttante ad accettare l'industrializzazione massiccia imposta dal Nord. Alternando le immagini del cantiere e delle avveniristiche strutture industriali, che con la loro mole umiliavano la spartana semplicità dell'architettura locale, Olmi si apriva pian piano la strada nei cuori di Liliana e Giovanni in cui veniva riaffiorando la passione provata in precedenza, alimentata dalla solitudine e dal distacco. La grande novità di questo film stava forse nel ritrarre l'Italia con un canovaccio piuttosto esile in cui le immagini e le voci off dei protagonisti aprivano uno squarcio sull'incomunicabilità della coppia.

"I fidanzati" è una pellicola ermetica, allusiva. Il racconto è frammentato e sovrapposto e in questo il maestro bergamasco continuò quanto intrapreso nella seconda parte de "Il posto" che fu senza dubbio parte meno lineare e più simbolica di quanto mostrato in precedenza dal suo cinema.

Le soluzioni scelte dal regista come il montaggio, la sobrietà dei dialoghi e l'inaccessibilità ai pensieri di Liliana e Giovanni resero il lavoro di Olmi intricato e affascinante rendendo evidente la capacità del maestro di raccontare per immagini anziché parole e fatti.

Il finale è aperto a qualsiasi eventualità, decisamente meno amaro del precedente capolavoro. Una lettera, una telefonata, magari un improvviso ritorno per sistemare le cose e aprirsi ad un dialogo che riaccenda la miccia. Così mi piace sperare per Liliana e Giovanni e per tutti gli amanti.

 

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scena

I fidanzati (1963): scena

 

 

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