Regia di Vittorio De Sica vedi scheda film
I protagonisti di "Sciuscià" non sono ragazzini, ma piccoli uomini che non crescono, in quanto già segnati dalla durezza della vita, che sbarra la strada al loro sviluppo morale e intellettivo. La loro prospettiva immediata non è diventare grandi, bensì sottrarsi il più velocemente possibile alla miseria: l'acquisto del cavallo non è un sogno di bambini, ma un modo per entrare nel mondo degli adulti ed acquisire una dignità. L'animale, che in un altro contesto sarebbe stato il personaggio di una fiaba, diventa così un maledetto oggetto del desiderio, che induce Pasquale e Giuseppe a delinquere, inizialmente solo per caso, poi, purtroppo, con sempre maggiore consapevolezza. L'infanzia violata è infanzia violenta, la cui innocenza è uccisa dal senso del possesso, e dalla rivalità che esso scatena. Il riformatorio, con le sue celle spartane e sovraffollate, è il calderone entro cui la lotta per la sopravvivenza si traduce in un conflitto territoriale: un alveare dentro cui i legami d'amicizia si spezzano e il sotterfugio si cova negli angoli nascosti. Lo stare insieme dei shoe shiner, per le strade della Roma del 1945, è all'insegna della condivisione e della solidarietà: si scherza, ci si prende in giro, ma sempre ci si aiuta. La forzata convivenza dell'istituto di correzione è invece una continua sfida, che isola e abbrutisce. Il neorealismo di "Sciuscià" sembra attingere al naturalismo transalpino, nel ritrarre il sottobosco ottocentesco in cui la guerra ha precipitato una parte della società italiana: l'umanità cui appartengono i ragazzi lustrascarpe fa da sfondo alla città moderna, dei semafori e delle automobili, senza però farne veramente parte. Le loro radici sembrano più legate al fiume e alla campagna, alle stalle ed ai barconi, a quegli angoli di mondo dagli scenari ancora romantici ed incantati, ma ormai divenuti ricettacoli della marginalità.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta