Regia di Jason Zada vedi scheda film
Uno dei più interessanti horror degli ultimi anni, nonché il migliore ambientato all'interno della "foresta dei suicidi". Malinconico, raffinato, lontano dal fragore irreale e sfiancante di tanto cinema "de paura" degli ultimi periodi. Resterà nel tempo, sicuramente destinato a progressiva rivalutazione.
Giappone. Ai piedi del monte Fuji sta la tristemente nota foresta Aokigahara, chiamata anche Jukai (in giapponese, mare di alberi). Posto nel quale ogni anno centinaia di persone decidono di addentrarsi, per poi togliersi la vita. Qui la docente americana Jess (Natalie Dormer) è scomparsa senza lasciare tracce. La sorella gemella Sarah (sempre Natalie Dormer) vola, dall'America, per visitare il luogo alla ricerca di Jess.
Notevole debutto in regia, dopo una serie di cortometraggi, di Jason Zada ex talentuoso giovane programmatore -verso metà Anni '80- del linguaggio Basic per Commodore 64. Contrariamente alla nuova ondata di horror sanguinolento e fracassone, Zada persegue una narrazione ch'è via di mezzo tra l'allegoria (il perdersi in una foresta oscura, come ostentava Alighieri nella Commedia Divina) e l'inarrestabile calata psicologica tra i fantasmi della depressione. Riesce a costruire un film magnetico, che incanta lo sguardo per come la telecamera si muove. Si muove (e noi con lei) tra sentieri ombrosi (e poi tenebrosi) che si snodano tra alberi tetri, con ramificazioni suggestive, dalle quali penzolano corpi senza più vita, muti e inermi come manichini fatti a immagine e somiglianza di esseri umani. Corpi ora senza più anima, piazzati sparsi in un labirinto d'alberi, come a rappresentare una inesplicabile traccia soprannaturale, un macabro disegno, visibile forse solo ad entità superiori e governanti l'umana sofferenza. Corpi stanchi, prima che vuoti (spesso assumono infatti, non a caso, la conformazione di sacchi): ormai provati dai patimenti, dalle tribolazioni, e lasciati cadere, inermi e senza più forza, all'ombra di secolari alberi. Corpi che rimangono appesi mentre si decompongono, diventando tutt'uno con i modesti vestiti che avvolgendoli misericordiosamente resteranno, assieme alle ossa, unica testimonianza di un male di vivere forse insopportabile, probabilmente affliggente, di certo straziante.
La protagonista, una bravissima Natalie Dormer sdoppiata in ruolo bivalente, non sembra soffrire di depressione ma qualcosa (dal passato) riaffiora per farla precipitare lentamente nell'inferno dei ricordi, talvolta più taglienti di una ferita carnale profonda. Zada riesce a costruire un meccanismo dello spavento più che funzionale, piazzando un paio di jumpscares da infarto e distribuendo, nell'arco di 85 minuti, un forte senso di malessere misto a malinconia e compassione.
Il luogo nel quale si svolge la vicenda è purtroppo reale, e già in passato più volte utilizzato come location per film horror. Ma se Forest of the dead (2007), Forest of the living dead (2011) e Grave Halloween (2013) non hanno lasciato segno, questo Jukai -c'è da giurarlo- potrà contare su un progressivo (nel tempo) apprezzamento di pubblico e critica. Per come Zada ha saputo dare un taglio psicologico, accentuato qua e là da ottimi (ma parsimoniosi) effetti speciali e supportato da un attento uso della traccia sonora. Traccia che, per essere appieno valorizzata, è da fruire con impianto home theatre dolby 5.1, data l'importanza che, per questo tipo di film, acquistano i rumori ambientali.
Soundtrack (Bear McCreary)
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