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S is for Stanley

Regia di Alex Infascelli vedi scheda film

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La recensione su S is for Stanley

di MarioC
8 stelle

Galeotto fu il fallo. E non stiamo parlando di polemiche calcistiche né di acrobazie sessuali, per quanto il fallo in questione sia l’enorme membro di ceramica che Stanley Kubrick utilizzò in Arancia meccanica. L’amicizia ed i rapporti umano/professionali hanno mille modi per manifestarsi, crescere, esplodere. Nella storia in questione l’innesco paga dazio al surreale, al farsesco, nonché al necessario capriccio del caso. Emilio D’Alessandro, giovane italiano della Ciociaria emigrato in Inghilterra, è incaricato di effettuare una consegna per una non meglio specificata compagnia che produce film. Vincendo la ritrosia e lo stupore (chiedendo altresì che quell’oggetto improprio ed incongruo sia almeno coperto), esegue il compito e si ritrova in una storia più grande di lui e che pure diventerà una ordinaria e bellissima avventura impastata di quel cemento strano, contraddittorio, che è la malta dei rapporti umani. Un iniziale confronto datore di lavoro/dipendente (padrone/schiavo, in parte) che vira senza fretta in un’amicizia fatta di fedeltà, reciproco riconoscimento della altrui imprescindibilità, affetto, infine in malinconia e lacrime, quando la morte avrà spezzato lo strano, stranissimo sodalizio.

 

 

S. è naturalmente Stanley Kubrick, il genio, il visionario, l’inventore di meccanismi filmico/onirici di straordinaria novità. L’altro è il fedelissimo maggiordomo/factotum, un uomo che, nel rapporto con l’altro (di cui scoprirà molto in seguito l’effettivo valore artistico, e che pure continuerà a preferire, in ossequio ad una semplicità di fondo mai abiurata, l’opera “minore” Spartacus) investe la propria coerenza, la propria capacità di mettersi al servizio, il proprio ruolo di attuatore pratico delle mille incombenze cui il regista non riesce ad attendere, perduto e spaurito nel suo mondo iperuranico, fatto di forniture di candele bastevoli per un triennio, gatti e puledri in piena libertà, incapacità di scoprire il reale difetto che impedisce alla zip di una giacca blu di funzionare correttamente. Quello che all’inizio sembrava un rapporto palesemente sproporzionato (i mille bigliettini che S.K. lascia ad Emilio, chiedendogli cose che si approssimano all’impossibile, sempre con un tono di marziale pacatezza) diventa dunque qualcosa che è possibile definire amicizia, un’amicizia che trae origine e si dipana lungo la fiducia, l’affidamento all’altro, la necessità fisica di aversi accanto (tanto che Emilio metterà a repentaglio la propria pax familiare, ed il documentario coglie nel segno anche quando fa ripercorrere al driver tuttofare la messe di telefonate che S.K. gli faceva a casa, negli orari e nei momenti più impensati. Praticamente chiamava solo lui). Ed allora il vocativo Emilio diventa un più avvolgente Caro Emilio, il potere direttivo del datore di lavoro si stempera nella richiesta di una complicità che anche il genio avverte come riposante, l’interazione, se non proprio paritaria, diventa gioiosa, giocosa, del tutto naturale. Emilio e Stanley, una coppia di fatto nell’universo accidentato degli adempimenti terreni.

 

 

Il documentario di Alex Infascelli è bello e, preso nel giusto verso, anche commovente. Per quanto tecnicamente non sperimenti alcuna strada di particolare novità, la sua inestimabile forza sta nel porre al centro della scena un uomo comune dalla vita poco meno che stratosferica, nel consentirgli di dare libero sfogo ai ricordi immortalati in centinaia di memorabilia, nel cogliere in quei tratti molto italiani la grandezza della onestà semplice e naturale. Scaraventato in un mondo (che è anche e soprattutto set) più grande di lui, Emilio D’Alessandro si lascia trascinare dall’istinto della scoperta, pur temperato dal rispetto delle consegne, vola su e giù per il globo, guida, lava, apparecchia, compra salumi e si dà alla tolettatura degli animali. E intanto prende coscienza dell’altro mondo: conosce attori (la dichiarazioni su quell’antipatico sottaniere di Jack Nicholson – brava persona, però – sono memorabili), sbircia fondali di scena, infine si fa egli stesso attore, per un gesto d’affetto e riconoscenza di S., commosso ed inorgoglito dal suo ritorno a quella che, sì,è sempre stata la reale casa madre di Emilio.

 

Vivere per raccontarla: nel suo inglese che appare un po’ frastornato e frastornante, D’Alessandro snocciola istantanee di vita al cospetto del Grande. Lo chiama per nome, in fondo è un suo amico. Anche la moglie, inizialmente più che perplessa, parla di S. con trepida partecipazione. Nel salotto dei due, intanto tornati a Cassino, città natale dell’uomo, troneggia un magnifico ed enorme tappeto, già nel set di Shining. La vita è film, il film della vita di Emilio è un premio Oscar alla perseveranza ed alla fedeltà. All’amicizia, date a questo termine il significato e la valenza che preferite. Nel raccontare il momento del distacco da S. (piangeva anche il genio, perché no?) gli occhi di Emilio si inumidiscono. Un po’ anche i nostri.

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