Regia di William Friedkin vedi scheda film
Il film di Friedkin appartiene a buon diritto alla categoria dei cosiddetti “film maledetti”. Cominciò ad essere contestato, soprattutto dai movimenti di emancipazione omosessuale, fin dall’inizio delle riprese, che si svolsero praticamente sotto assedio, anche se molti dei figuranti erano veri appartenenti a quel mondo gay descritto nel film. Il massacro continuò a livello critico all’uscita di Cruising nelle sale, negli USA così come nel resto del mondo. Per dare un’idea dell’accoglienza che il film ebbe in Italia, basta leggere quello che scriveva, attraverso la penna di Giovanni Grazzini, il maggiore quotidiano nazionale nel novembre del 1980. «Film per stomachi forti. O per anime perse che si compiacciono di ritrovare sullo schermo la loro matta bestialità di sadomasochisti infoiati, promossa dal cinema che si dà arie documentarie a elemento storico-sociologico dell’ultima New York. Insomma film, se non proprio spregevole per la sua bassezza morale (come fu scritto quando fu presentato al festival di Berlino), da evitare con cura, anche perché trascina in una condanna plenaria tutti gli omosessuali. Serve a poco, infatti, avvertire lo spettatore che gli abietti protagonisti del film sono una minoranza: il pubblico, nell’inconscio, fa d’ogni erba un fascio». Non contento, Grazzini continua, sostenendo che il film «nonostante la buona interpretazione di Al Pacino, preme i tasti sensazionali con scurrile violenza. Pretendendo di astenersi da ogni giudizio morale, il regista William Friedkin (che aveva già frequentato i pederasti con Festa per il compleanno del caro amico Harold), torna agli effettacci dell’Esorcista. S’infanga rappresentando i bassifondi popolati di pervertiti ed esibizionisti, riproduce i riti celebrati da criminali in giubbotto di pelle, frusta e stivaloni, sparge litri di sangue e non ci risparmia le più infami depravazioni. Friedkin è certamente un professionista che sa il fatto suo, ma le notti di Sodoma non sono affar nostro. Noi andiamo a vedere Walt Disney». A parere mio, chi fa d’ogni erba un fascio (e in questo caso il termine “fascio” è davvero pregnante) sono le associazioni “di categoria” ed i critici cinematografici come Grazzini, che hanno attaccato Cruising con argomentazioni solo apparentemente simili. Il film di Friedkin, infatti, è tutt’altro che un atto d’accusa nei confronti degli omosessuali o di una certa parte di quel mondo. Che lo si voglia giudicare riuscito o meno (ma è necessario farlo dal punto di vista della riuscita cinematografica), Cruising rappresenta una discesa agli inferi da parte di un personaggio che ritiene, probabilmente a torto (ma come la maggioranza di noi), di possedere delle certezze, le quali usciranno travolte da un’esperienza tanto coinvolgente. La raffigurazione di tale presa di coscienza da parte del protagonista avviene all’insegna dell’ambiguità, qualità alla quale Daniela Catelli ha giustamente intitolato la sua monografia su Friedkin: tanto che, alla fine della vicenda, non si sa più bene se lo Steve Burns poliziotto integerrimo nonché maschio “normale” abbia dato (o forse subito) una sterzata tale alla propria vita, da passare sull’altro lato della barricata.
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