Regia di Steve Miner vedi scheda film
“Soul Man” è una di quelle imprese “politically incorrect” che oggi, nell’ambito delle produzioni più commerciali, non verrebbe lontanamente concepita. Il motivo? Be’ il main charachter, impersonato da C. Thomas Howell, alias Mark Watson, era un caucasico che appariva con il viso dipinto di nero… Nella premessa difatti si tratta di un rampollo di una famiglia bene che viene ammesso alla Facoltà di Legge ad Harvard; il problema è che i genitori decidono di non dargli i finanziamenti per la retta. La soluzione? Fingersi afroamericano con l’assunzione di speciali farmaci che imbruniscono la pelle, al fine di ottenere una borsa di studio riservata agli studenti di colore. A causa di questa mossa fraudolenta, però, farà i conti con il pregiudizio manifestato verso le minoranze: il metraggio di Steve Miner è stato ingiustamente accusato di razzismo, in quanto mette in risalto parecchi luoghi comuni legati a determinate etnie. Quello che la critica non ha compreso è evidentemente l’ottica adottata dal regista, la quale esuma, tramite stoccate pungenti e momenti sardonici, il bigottismo vigente in una porzione cospicua della comunità. Tuttavia, a non funzionare adeguatamente in “Soul Man” resta la sceneggiatura, dall’incipit facilone (il cambio di posizione del babbo, che di punta in bianco sceglie di lasciare al verde Mark, non ha molto senso) e dai turning point che non nascondono evidenti debolezze (l’espediente delle pillole abbronzanti doveva avere qualche passaggio aggiuntivo per essere almeno verosimile, anche perché le variazioni dell'incremento di melanina non hanno tempi di reazione così repentini!). C’è pure una cosa curiosa: le battute migliori sembra le abbiano riservate al secondario Arye Gross (Gordon Bloomfeld), il quale è protagonista di esilaranti interventi al vetriolo (come quello durante l’assemblea del comitato universitario) e di irriverenti frammenti in cui schernisce certi stereotipi sfoggiando un aplomb recitativo considerevole. Nonostante questo il bolso affastellamento delle ribaltine non è alquanto convincente (deludente, ad esempio, il fiacco approfondimento dato all'austero Professor Banks del vigoroso James Earl Jones), mentre la componente sentimentale che riguarda il rapporto con Rae Dawn Chong (Sarah Walker) viene interpretata con piacevole naturalezza, malgrado la crepuscolarità costante e l'andatura incespicante che intacca il sub-plot. L’inanità di fondo e la sbalestrata scrittura relegano dunque “Soul Man” alla lista delle bobine anni ’80 dal buon potenziale, ma che tirando le somme mancano di mordente.
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