Espandi menu
cerca
The Garbage Helicopter

Regia di Jonas Selberg Augustsén vedi scheda film

Recensioni

L'autore

OGM

OGM

Iscritto dal 7 maggio 2008 Vai al suo profilo
  • Seguaci 205
  • Post 123
  • Recensioni 3130
  • Playlist -
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su The Garbage Helicopter

di OGM
7 stelle

Il mondo può essere in pace. Eppure sembrare un nemico. Può trovarsi lì a portata di mano. E nel contempo risultare inutile, come un oggetto rotto. La vicinanza è lontananza. La prospettiva un artificio formale. Ed intanto il senso è andato in esilio.

Qual è quella cosa che continua ad andare ma non arriva mai da nessuna parte? La strada. Una scala mobile. Un orologio. Il mondo gira a vuoto. Forse perché ha smarrito il senso della misura. In mezzo alla campagna si vedono oggetti giganti: una monumentale scopa, un enorme coltello da formaggio, una sedia da Guinness il cui primato, però, è stato battuto. C’è qualcosa che non va, se queste sono le attrattive, i segni del tempo, le pietre miliari di un progresso che si è addormentato. Nulla è più come una volta. La grandezza è solo un ricordo. La lentezza ha vinto, ma era troppo pigra per ritirare il premio. Il benessere nordeuropeo ha perso ogni sapore. Persino quello della differenza, della tensione, della diffidenza verso lo straniero. L’omologazione ha provocato una generale morte. Il massimo peccato è superare il limite di velocità. Nessuno corre più. Nemmeno le mucche, che, di solito, schizzavano entusiaste fuori dalla stalla, quando, sul fare dell’estate, si aprivano le porte verso i pascoli. Adesso ci vuole il trattore per tirarle. A preoccuparsi dello scorrere delle ore è rimasta solo una nonna, a cui manca tanto la sua pendola, in riparazione da più di un anno. In questo film l’attesa è un nulla senza più senso. Tre giovani figli di immigrati attraversano la Svezia a bordo di un’automobile. Ogni tanto si fermano, a guardare quel poco che è rimasto, in una terra desertificata, dove anche la memoria è un luogo con zero visitatori. C’è una barbona che dorme, nell’atrio del museo dell’Olocausto. Dimenticare è ormai un’abitudine, uno sport nazionale, un modo per cancellare la nostalgia per il passato e l’amarezza per un futuro assente. Persino le parole stanno cadendo in disuso. È sempre più difficile risolvere gli indovinelli. Ci sono termini che hanno preso a suonare estranei, anche se fanno riferimento a concetti semplici, come standard, collettivo, élite. Forse il problema è che sono indicatori di un’unità consapevole, di una identità trovata, di un accordo fra le parti di cui non si conosce più il significato. I pezzi hanno smesso di stare insieme. I ricambi non arrivano, il meccanismo non si può aggiustare. L’ingranaggio proseguirà comunque il suo cammino, ma in silenzio, senza fare tic tac. Il suono è diventato piatto e continuo, tanto da non sembrare più tale. Tutti parlano la stessa lingua, la cultura non è più una complessa questione di punti di vista, di provenienze, di traguardi. La varietà è scomparsa, come i colori di questo film. Come i quadri rubati finiti a marcire in un magazzino. È automatico e monocorde anche il pensiero, che scoppia le bolle con le dita per la noia, e, quando inventa, lo fa per caso, senza mai innamorarsi delle proprie idee. Quell’inesistente elicottero dell’immondizia potrebbe magari essere una nuova creazione.  Se non fosse che è solo un’assurdità buttata lì per caso, che non dice niente e fa pure sballare gli incroci del cruciverba.  Solo i vecchi riescono a darle corpo, facendone la trama di un sogno. La fantasia non usa più. La marcia non ha ritmo. Non si sente la musica, in sottofondo.  E la realtà si adagia,  accontentandosi di rimettere le cose al loro posto. Questo racconto giace in una spenta contemplazione. Ogni tanto si maschera, come a carnevale, ma solo per nascondersi dietro una anonima alienazione. Eppure l’obiettivo cerca disperatamente la profondità. Le dà la caccia ovunque, nel bel mezzo delle inquadrature, con quello sguardo che ostinatamente si incunea dentro prospettive sempre aguzze, anche se spesso anguste, soffocanti, limitate. Laggiù ci deve per forza essere qualcosa, che non si vede, eppure esiste, ed ha anche un nome. Il film di Jonas Selberg Augustsén si mette al suo inseguimento. Pacatamente, perché chi si affretta è perduto. Fare a gara è proibito. Essere altrove è un’utopia.

 

 

scena

The Garbage Helicopter (2015): scena

 

scena

The Garbage Helicopter (2015): scena

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati