Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Il film fa parte di quel gruppo di film del regista bolognese che, parafrasando il Leopardi, potremmo definire le operette corali. Se alla fine degli anni ottanta un’operazione del genere, la messinscena della festa di fidanzamento tra la figlia di un contadino arricchito e il rampollo di una famiglia cittadina in decadenza, poteva riallacciarsi ad esperienze precedenti, quali "Un matrimonio" (1978) di Altman, e vantare una sorta di primogenitura, almeno nei riguardi di un’Italia fascioappenninica, a distanza di diciotto anni queste esili qualità sono del tutto evaporate. Resta l’idea di concentrare una serie di storie nell’arco di ventiquattr’ore, e di scandire le vicende legate a ciascun personaggio (intorno ai due fidanzatini si muovono un padre donnaiolo e una madre incattivita, un fratello fanfarone che si spara una fucilata per errore, una coppia di erotomani, un anziano in sospetto di pedofilia, le signorine di città) con le portate di un pranzo luculliano, tale da fare invidia, almeno per quantità, al danese "Pranzo di Babette" (1987), uscito da noi l’anno prima. Ma, soprattutto, il merito maggiore del film di Avati è quello di avere proposto come protagonisti uno stuolo di attori più o meno giovani, quasi tutti di notevole bravura, da Haber a Bonetti, da Sbragia a Bechini, dalla Modugno alla Lante della Rovere, dalla Bonaiuto fino a Marcello Cesena. Non c’entra niente, invece il personaggio di Felice Andreasi, qui accoppiato con quello interpretato da una giovane Valeria Bruni Tedeschi: l’impressione è che, nonostante lo schermo pieno di personaggi, servisse un ulteriore riempitivo. In questo senso, il film di Avati sembra una delle vignette di Jacovitti, così piene di personaggi e tuttavia inzeppate di salami e mortadelle con lo scopo di non lasciare una fastidiosa sensazione di vuoto.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta