Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film
Tutto il cinema dei Dardenne si impernia su un dilemma morale. Non fa eccezione questo La ragazza senza nome. Le differenze le fanno le situazioni e, soprattutto, il modo attraverso cui il protagonista di turno arriva a dover prendere una decisione cruciale. Stavolta ci troviamo, come di consueto, nella provincia belga, a Liegi. Jenny (Haenel) è una giovane dottoressa impiegata in un ambulatorio pubblico ma in procinto di venire assunta da una clinica dove potrebbe avere responsabilità assai più consistenti e un più lauto stipendio. Il condizionale è d'obbligo, giacché la sua vita cambia improvvisamente dopo aver saputo che una giovane prostituta è morta un attimo dopo avere citofonato all'ambulatorio dove Jenny Lavora, un'ora dopo l'orario di chiusura. A quella citofonata Jenny non rispose. La determinazione a trovare un nome a quella ragazza, morta chissà come e rinvenuta senza documenti, diventa lo scopo ultimo dell'esistenza della giovane dottoressa, conseguito con un'invincibile fede, ricavata dall'urgenza di pacificarsi per quell'enorme responsabilità.
Regolarmente osannati (e premiati dalla critica) i fratelli più famosi del Belgio sono stati accolti freddamente a Cannes, al punto di decidere di rimettere mano al montaggio del film prima della sua distribuzione in sala. L'operazione di sartoria è tuttavia solo un rammendo su un film decisamente meno riuscito di opere come L'enfant o Il matrimonio di Lorna. Fedeli ad uno stile scarnificato, minimalista, senza musica, con pochi movimenti di macchina e lo sguardo spesso incollato sulla protagonista, Jean-Pierre e Luc Dardenne stavolta sembrano trascurare il dispositivo narrativo, trasformando la sete di verità della giovane protagonista in un'ossessione dalle venature cristologiche e tingendo di giallo un racconto drammatico che sembra concepito sul modello di Dieci piccoli indiani.
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