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La ragazza senza nome

Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La ragazza senza nome

di cielioscuriAutoproduzioni
8 stelle

Il decimo lungometraggio di finzione dei fratelli Dardenne si chiama La ragazza senza nome. Per l'ennesima volta i due registi, dopo Rosetta (1999), Il matrimonio di Lorna (2008) e Due giorni, una notte (2014), tratteggiano il ritratto di una giovane donna che, a un certo punto della vita, si trova a prendere una posizione conflittuale nei confronti delle regole della società che la circonda.

Jenny Davin è una dottoressa che gestisce, durante la temporanea assenza del dottor Habran, un ambulatorio per i meno abbienti. La donna sembra aver posto alla base della propria vita lavorativa la regola per cui non deve esserci coinvolgimento emotivo del medico con i casi dei pazienti cui è sottoposto. Una sera, dopo aver ripreso lo stagista/laureando Julien proprio per il suo lasciarsi trasportare emotivamente dal lavoro, Jenny si rifiuta di aprire la porta dell'ambulatorio a una ragazza africana arrivata un'ora dopo la chiusura. Il giorno seguente Julien decide di abbandonare stage e università e la polizia chiede alla dottoressa di poter vedere le registrazioni della videocamera di sorveglianza dell'ambulatorio, perché la giovane che aveva suonato la sera prima alla porta di Jenny è stata trovata morta in un cantiere vicino al fiume. Questa notizia fa scattare qualcosa nella donna, che abbandona la prospettiva di lavorare per un importante studio medico, rileva l'ambulatorio dal dottor Habran, cerca di riallacciare i rapporti con Julien e, soprattutto, inizia un'indagine per scoprire il nome della ragazza morta, al fine di offrirle almeno una degna sepoltura.

Proprio tale ricerca porta la protagonista a entrare in conflitto con la sua autoimposta freddezza emotiva e con l'isolamento fisico e spirituale che regna nella periferia della piccola città operaia in cui vive, fatta di famiglie disfunzionali, piccoli delinquenti, ragazzini chiusi in sé stessi e immigrati.

I Dardenne, coadiuvati dai collaboratori di sempre – il tecnico del suono Duret, il d.o.p. Marcoen e la montatrice Dozo, fra gli altri - seguono il viaggio di Jenny tra gli emarginati, utilizzando una fotografia priva di qualsivoglia effetto barocco e un montaggio scarno ed essenziale, atto a valorizzare una narrazione lineare, composta dai soliti piani-sequenza in campi medi, marca tipica dello stile degli autori. Questo perché, come sempre nel cinema dei due fratelli belgi, il piano-sequenza che segue la protagonista di spalle – una sorta di soggettiva oggettiva - non è solo un mezzo per portare lo spettatore all'interno di un continuum spazio-temporale, caratterizzato dalla profonda aderenza alla realtà sociale delle periferie industriali nei dintorni di Seraing, ma è anche un modo per rendere il pubblico partecipe del punto di vista della protagonista, vettore di una forte tensione etica. La storia della ricerca dell'identità della ragazza morta diventa infatti una detection che porta Jenny a una redenzione morale, attraverso la riscoperta dell'empatia con i suoi pazienti e il riconoscimento dell'altro non più come freddo corpo/oggetto da riparare quando è rotto (malato), ma come creatura dotata della stessa umanità che lei sta tentando di ritrovare dentro di sé. Umanità capace di riportare allo status di essere umano sia la protagonista che la defunta, ridotta a mera icona sul cellulare di Jenny fino al momento in cui quest'ultima non ne scopre nome e storia personale.

Dunque i Dardenne continuano in un certo qual modo il racconto morale iniziato con Due giorni, una notte. L'unica alternativa da opporre al mantra neoliberista, che ci vorrebbe tutti in competizione con il nostro vicino e concentrati solo su noi stessi, consiste nella riaffermazione di un principio di solidarietà umana che parte, simbolicamente, da una donna e si rivolge, ancor più simbolicamente, a un'altra donna che è immigrata, sfruttata in quanto prostituta e infine uccisa dall'indifferenza della società occidentale.  

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