Regia di Vittorio De Sica vedi scheda film
Il neorealismo ha cambiato il volto del cinema, non solo in Italia, suo paese di nascita, ma nel mondo intero. Grandi registi internazionali (Spielberg, Scorsese, Polanski e tanti altri) sono grati alla cinematografia italiana per questo filone apparso nell’immediato secondo dopoguerra, in cui Rossellini, Visconti e De Sica-Zavattini, in primis, scendono tra le macerie della guerra, insieme alle loro troupe, carichi di pietas per i milioni di esseri umani portati via dalle barbarie del conflitto e incuranti delle tonnellate di detriti e polvere fanno cinema. Filmano quello che e? sotto ai loro occhi, fanno muovere i loro (non) attori tra queste macerie seguiti da una cinepresa affamata di immagini da poter consegnare alla storia o meglio: oggi possiamo affermare che quello che e? stato ripreso da questi giganti del cinema e? materiale storiografico ma loro erano solo spinti dall’esigenza di raccontare cio? che era e stava succedendo. Forse fare quei film era come intonare una preghiera laica da recitare nella sala cinematografica, tempio moderno in cui ritrovarsi e riflettere sull’orrore della guerra, dove i superstiti guardandosi negli occhi esclamano: “che e? succies’?”, come fa recitare il commediografo Eduardo a donna Amalia Iovine in Napoli Milionaria, opera teatrale ma che si inserisce nel filone neorealista.
La critica data la nascita del movimento con la prima proiezione di Roma: citta? aperta di Roberto Rossellini nel 1945 ma se guardiamo pochi anni dietro ci accorgiamo che gia? esiste un momento di cesura e non a caso e? tra il ’42 e il ’43, anni in cui l’Italia fascista matura l’idea di non essere una potenza militare ma solo l’alleato subalterno del Terzo Reich. A convalidare questa idea sara? lo sbarco Alleato nel Luglio del ’43 in Sicilia e due mesi dopo a Salerno. Come le truppe anglo-americane calpestano il suolo italiano cosi, pochi mesi prima del loro arrivo, alcune troupe di cineasti fanno ruotare la pellicola nella cinepresa per filmare la sensazione di smarrimento che si respira nel Paese in quel biennio. Sono di questi anni: 4 passi fra le nuvole di Alessandro Blasetti, Ossessione di Luchino Visconti e I bambini ci guardano di Vittorio de Sica. Questi titoli portano il seme del neorealismo che crescera? parallelamente all’avanzata Alleata in Italia.
Voglio soffermarmi su l’ultimo film, perche? il suo regista e? una figura che ha abbracciato il mondo cinematografico partendo dal punto di vista dell’interpretazione (arte a me cara), affinando sia la capacita? di stare davanti alla macchina da presa che dietro riuscendo ad avere uno sguardo ricco di sfaccettature e pochi altri registi riescono ad eguagliarlo, forse perche? e? un attore e capisce come lavorare con la materia umana anch’essa piena di sfumature e paradossi.
Il protagonista del suo film e? il piccolo Prico? (Luciano De Ambrosis), che come ogni bambino di cinque anni, vive con i genitori. Questo piccolo nucleo familiare non ha problemi economici, visto che fa parte della borghesia romana di quell’epoca. Non e? difficile immaginare Andrea, il capofamiglia (Emilio Cigoli), andare qualche volta, spinto dalla curiosita? piu? che dalla fede politica, a piazza Venezia a sentire il Duce. Ma non e? un esaltato e? uno che ha lasciato correre gli eventi politici come ha lasciato correre la relazione extraconiugale che la moglie Nina (Isa Pola) ha con Roberto (Adriano Rimoldi). L’innocente Prico? si ritrova in questa situazione senza avere nessuna colpa ma sara? lui a subirne le conseguenze, sara? lui ad essere sballottato da un parente all’altro dopo che la madre abbandonera? il tetto coniugale per seguire la sua passione, incurante del figlio e del dolce marito. Solo l’attacco febbrile del bambino portera? (in un primo momento) la donna a ritornare su i suoi passi. Sara?, infatti, durante un viaggio in treno, che Prico? verra? perseguitato da incubi, provocati dalla febbre alta e che De Sica realizza facendo scorrere velocemente immagini in dissolvenza incrociata: marionette, l’acida nonna paterna, la mamma che abbandona il figlio lungo un viale di cipressi, tutto scandito dalla velocita? del treno che corre senza sosta. In scene del genere c’e? tutto lo sperimentalismo che De Sica ha appreso sui set di Camerini, quest’ultimo, infatti, e? stato tra i piu? bravi registi che ha saputo cogliere la poetica delle avanguardie futuriste e russe.
Tornato a casa Prico? e? curato dalla balia e dalla mamma la quale fatichera? a riconquistare la fiducia del marito ma alla fine, la “felice famigliola” trascorrera? un periodo di vacanze al mare
per dimenticare il recente passato. Ancora una volta il marito e? illuso da false speranze come se un bagno di sole bastasse a cambiare le cose. Allo stesso modo in cui il tanto applaudito “posto al sole” conquistato da Mussolini e che ha trasformato l’Italia in un Impero, non sara? sufficiente a renderla una potenza bellica, cosi? la vacanza non sara? la soluzione ai problemi familiari perche? al presentarsi di nuovo di Roberto la donna si lascera?, ancora una volta, sedurre. Prico? nota la coppia di adulteri e decide di scappare e di raggiungere il papa?, ritornato qualche giorno prima, a Roma ma e? ostacolato da tutti gli adulti che incontra, si perdera? nella notte della citta? balneare che, al calar del sole, sembra trasformarsi in un luogo da incubo abitato da esseri deformi come nella miglior tradizione espressionista della Germania di Weimar. La fotografia diretta da Otello Martelli (che sostituira?, in corso d’opera, Giuseppe Caracciolo per volere di De Sica stesso) rimanda alle atmosfere lugubre dei film di Murnau, Lang e soprattutto Robert Wiene. Queste atmosfere accompagneranno Prico? fino al ritorno a casa, solo e senza mamma si ritrovera? faccia a faccia con il padre che gli chiedera? della donna. In questa scena il regista dirige i due attori in un dialogo che sembra un interrogatorio poliziesco dove un montaggio alternato staglia sullo schermo i primissimi piani dei due protagonisti avvolti in una luce tagliente creando un’atmosfera asfittica. Spettera? al povero marito abbandonato le sorti e l’educazione del figlio che affidera? ad un collegio ecclesiastico. Sembra difficile credere che un film del genere sia stato girato in epoca fascista, dove la produzione cinematografica era sorvegliata da una censura ferrea e i film che si realizzavano erano quelli dei cosiddetti telefoni bianchi girati in Italia ma ambientati nella lontana Budapest, dove era possibile concedersi dei tradimenti ma era consuetudine ritornare poi all’ordine. Invece tutto cio? avviene nella Roma fascista in cui l’adulterio femminile e? fuori dalla morale del regime e l’uomo poco virile (come lo e? Andrea) non e? l’italiano maschio di Mussolini. Naturalmente in tutto il film non c’e? alcun riferimento ne? alla guerra in corso, ne? c’e? un’ inquadratura di un fascio littorio oppure un passaggio di un camerata fascista, quasi come se il regime non esistesse, ma che non siano tempi facili e? tutto demandato ad una sola battuta di Andrea, che all’inizio del film partecipando ad una riunione di condominio afferma che sia opportuno fare economia in tempi come quelli. Non specifica. Gli autori non possono specificare, ma non si lasciano scappare l’occasione di insinuare che i tempi che stanno vivendo richiedono sacrifici. In piu? c’e? ancora una nota da sottolineare: la fascistizzazione aveva abolito i dialetti in tutte le espressioni artistiche e mentre nel teatro regionale esso continuava ad esistere (non senza difficolta?) al cinema, invece, era completamente sparito, perche? piu? facile da controllare. Quindi sorprende e assume toni provocatori sentire nel film la guarattella di pulcinella parlare napoletano, oppure un operaio ferroviario esprimersi in emiliano e sfaccettature romane o di altre province fluire dai ruoli secondari. Queste provocazioni e ribellioni al sistema vigente, che oserei definirle forme di resistenza, erano invenzione di De Sica ma anche del suo stretto collaboratore: lo sceneggiatore Cesare Zavattini, incontratisi per la prima volta per questo film. I due artisti avvieranno, dal ’43 in poi, un sodalizio fortunato tanto da realizzare opere che sono “monumenti” del cinema mondiale. Il soggetto del film in questione non era originale ma una trasposizione cinematografica del racconto: Prico? di Cesare Giulio Viola il quale non solo si vede cambiare il titolo del suo breve romanzo (I bambini ci guardano e? ispirato al titolo dalla rubrica che Zavattini tiene sul giornale Grazia: I nostri bambini ci guardano) ma anche il finale viene stravolto, perche? Andrea una volta accompagnato il figlio in collegio si toglie la vita e il piccolo, nella versione letteraria, si ricongiunge alla madre. Invece, la lucida analisi della societa? di Zavattini-De Sica impone un cambio di finale: il bambino afflitto dal dolore non perdona la madre, si rifiuta di abbracciarla e piangendo le volta le spalle allontanandosi lentamente lungo il corridoio dell’istituto. Forse e? un grido che gli autori vogliono lanciare alla societa? italiana del 1943, esortarli ad avere il coraggio di Prico? e incamminarsi lungo un futuro dagli orizzonti nebulosi, piuttosto che riabbracciare le illusioni fasciste. De Sica e Zavattini lo hanno iniziato a fare con il cinema discostandosi dal sentiero battuto per incamminarsi verso l’incognito e sconosciuto futuro neorealista.
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