Regia di Vittorio De Sica vedi scheda film
De Sica mette l'obiettivo al livello dello sguardo del suo protagonista bambino: attraverso i suoi occhi siamo testimoni della disgregazione di una famiglia borghese. Opera coraggiosa per le tematiche e di dirompente modernità che taglia i ponti col cinema del regime, aprendo la strada ad un nuovo modo italiano di fare cinema . Voto: 7,667 su 10
Durante un'uscita al parco il bimbo Pricò vede la madre intrattenersi in una fitta e tesa conversazione con uno sconosciuto. Si tratta dell'amante per cui la donna sceglierà di lì a poco di abbandonare marito e figlio, che viene sballottato tra zie e nonne in ambienti inadatti o addirittura ostili. Una apparente riconciliazione coniugale sembra sigillata da una vacanza estiva ad Alassio, ma quando il marito rientra al lavoro a Roma l'amante ricompare anche in Liguria per lo sgomento del bambino.
L'opera che insieme a Ossessione di Luchino Visconti è considerata capostipite del cinema italiano post-fascismo e anticipatrice del neorealismo. La sceneggiatura è di Cesare Zavattini con cui il regista firmerà i suoi successivi capolavori neorealisti ed è tratta dal romanzo Pricò di Cesare Giulio Viola di cui però cambia il finale. Girato in tempo di guerra nel 1942 prima che il conflitto travolgesse il territorio italiano, e distribuito ovviamente poco e male nel 1943/1944, la guerra è tuttavia assente dalla trama : il libro che traspone era infatti uscito negli anni Venti. Seppur l'ambientazione sia ancora borghese e non affronti tematiche socio-economiche a differenza del neorealismo pieno di pochi anni dopo, il film segna innegabilmente una cesura che si rivelerà irrecuperabile con il cinema precedente: «Lessi quel romanzo – dichiarò il regista anni dopo - in un periodo in cui ero veramente stanco di una certa formula da "telefoni bianchi" o di cinema romantico, vecchio, antiquato. Ero impaziente che l'obiettivo andasse più vicino agli uomini».
L'obiettivo, come suggerito dal titolo, si mette al livello dello sguardo del suo protagonista bambino, ed è attraverso i suoi occhi che siamo testimoni della disgregazione di una famiglia borghese con l'adulterio e l'abbandono del tetto coniugale da parte della madre. Così il film ci fa vivere insieme a Pricò il trauma del crollo, per ragioni a lui incomprensibili, del suo piccolo mondo per come lo aveva fino a quel momento conosciuto e della fine improvvisa del senso di sicurezza e stabilità affettiva di cui ogni bambino ha assoluto bisogno. L' attore bambino Luciano De Ambrosis si carica così di gran parte del scene del film e del suo trasporto emotivo e De Sica rivela la sua grande abilità nel dirigere attori bambini, che confermerà con Sciuscià e Ladri di Biciclette. Tra le scene più struggenti quando il disagio di Pricò erompe e corre fuori dalla stanza in cui era confinato per interrompere un convegno tra la mamma e l'amante che aveva avuto l'ardire di venirla a trovare a casa.
Spicca per la sua umanità il personaggio padre, interpretato da Emilio Cigoli, un uomo sensibile che, tradito e travolto dalla fine del suo matrimonio, cerca in ogni modo di proteggere il figlio dal dolore dell'abbandono e dallo stigma che nell'Italia conformista e bacchettona degli anni 40 sicuramente colpiva una situazione familiare del genere, ben esemplificato dalle vicine pettegole.
Pur mettendo in guardia dai danni che le scelte non ponderate dei grandi possono causare ai più piccoli, la sceneggiatura si astiene dal giudizio moralista sui personaggi adulti. Nemmeno la madre adultera viene pregiudizialmente condannata, nonostante il finale le neghi il perdono del figlio, e persino il suo amante , che certamente appare sotto una luce negativa anche perché Pricò lo vede come un antagonista, tuttavia nella sequenza in cui ad Alassio dichiara alla donna di amarla emerge la sincerità del suo sentimento.
Nell'Italia fascista scegliere di mettere sullo schermo temi tabù come l'adulterio e il suicidio rappresentò una scelta coraggiosissima per De Sica, che quando girò il film non poteva sapere che il regime sarebbe caduto nell'estate successiva. L'approccio del regista è duro e allo stesso tempo sensibile, in ogni caso improntato alla sincerità ed al realismo nella rappresentazione di sentimenti e dinamiche relazionali. Ogni tanto il dramma è stemperato da tocchi di ironia tipicamente desichiana, soprattutto nei personaggi di contorno come le vicine e i villeggianti. Il film adotta anche alcune scelte tecniche ed espressive allora inedite per il cinema italiano, da scene oniriche e sovrimpressioni nell'incubo febbricitante, l'angoscia della pericolosa passeggiata sui binari e dell'inseguimento sulla spiaggia di Alassio. Resta ancora nella pellicola qualche eccesso sentimentale melodrammatico e lacrimoso da feuilleton, e ho trovato il finale, con Pricò messo in istituto e il padre che si toglie la vita, troppo repentinamente tragico: 10 minuti aggiuntivi nel prefinale per mostrare il crollo psicologico del papà avrebebro giovato alla credibilità dell'epilogo. Nell'ultima scena De Sica si dimostra di nuovo coraggioso e l'abbraccio negato con la madre non concede nulla al cliché del lieto fine consolatorio a cui il pubblico avrebbe aspirato. Ma quella che si impone è la dirompente modernità con cui De Sica affronta le tematiche della disgregazione familiare, del tutto avulsa dal cinema del regime che ormai si avviava alla sua tragica conclusione, aprendo la strada al racconto cinematografico familiare dei decenni a venire.
Voto: 7,667 su 10
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