Regia di Vittorio De Sica vedi scheda film
Capolavoro di Vittorio De Sica oltreché uno degli atti fondativi del cinema italiano moderno
Atto fondativo del neorealismo e del cinema italiano moderno insieme ad Ossessione di Luchino Visconti e a 4 passi tra le nuvole di Alessandro Blasetti, I bambini ci guardano segna la prima collaborazione ufficiale tra Vittorio De Sica e Cesare Zavattini in sede di sceneggiatura, qui firmata insieme a Cesare Giulio Viola, autore anche del romanzo da cui è tratto il film, Margherita Maglione, Adolfo Franci e Gherardo Gherardi. Si tratta di un capolavoro epocale che segna, per stile adottato e tematiche affrontate, una netta discontinuità rispetto al cinema di epoca fascista.
De Sica fa propria la lezione tecnica di Mario Camerini, con il quale aveva stretto un importante e riuscito sodalizio negli anni Trenta (il cui apice fu raggiunto con I grandi magazzini), ma la congiunge all'eredità dell'espressionismo tedesco di Murnau, Lang, Wiene, grazie al supporto decisivo del fortemente voluto da De Sica direttore della fotografia Otello Martelli, il quale si rivela in grado di conferire un'eccezionale carica emotiva a scene come il delirio febbrile del piccolo protagonista Pricò (un gioco frenetico di dissolvenze incrociate assolutamente straordinario e mai visto fino ad allora nel censuratissimo cinema dei telefoni bianchi), passando per la fuga del bambino resa tesissima dalle ombrose atmosfere lugubri quasi da noir, per arrivare al confronto col padre nel pre-finale con un sapiente uso della luce sfumata e smorta nei primissimi piani. In un'epoca buia come quella che l'Italia affrontava nei drammatici anni di guerra 1942-1943 durante i quali il film venne realizzato, De Sica ha anche il coraggio di ribellarsi ai dettami linguistici di epoca fascista, che imponevano che ogni film venisse parlato in un fluente e corretto italiano, anche doppiato, innervando di vividi umori dialettali alcuni personaggi e situazioni di contorno (lo spettacolo dei burattini è in napoletano; l'operaio ferroviario esprime le sue poche battute in emiliano; qui e là si sentono forti accenti romaneschi). Stilisticamente, quindi, si tratta di un'opera assolutamente innovativa e sovversiva per la produzione italiana dell'epoca.
Tematicamente il film non è da meno nel raccontare la storia di una famiglia sfasciata da un'adulterio femminile e da un suicidio maschile intorno a cui si impernia il ritratto umanitario e sofferto di un'infanzia infelice
De Sica ha, infatti, il coraggio inaudito, all'inizio degli anni Quaranta, di spingere sull'adulterio femminile e sulla rivendicazione, da parte della donna, di poter seguire il proprio cuore in un'epoca in cui il divorzio non esiste e chi lo pratica in barba alle leggi, soprattutto se donna, viene considerato un abietto morale dalla società (in tal senso, la capacità del regista di tinteggiare, con pochi tocchi, i pettegolezzi maliziosi e infidi del condominio è superba). Il marito è quanto di più lontano dalla malsana idea fascista del maschio virile ed indomito, incarna un certa mentalità impiegatizia passiva e non violenta (e lontanissima da certa retorica contemporanea sui rapporti sociali dell'epoca visti in maniera sempre uguale come 'uomo violento maschilista picchia moglie succube': la realtà era molto più stratificata e complessa) ma, comunque, incapace di rendere felice una moglie non (più) innamorata (su questo fronte, a De Sica è sufficiente un solo dialogo con la cameriera Agnese per dire tutto) e desiderosa di ascoltare le ragioni del proprio cuore, anche a discapito della famiglia.
A fare le spese di una simile situazione è lo sguardo puro dell'infanzia. Il bambino Pricò, interpretato dal bambino torinese di 5 anni Luciano De Ambrosis (che, peraltro, aveva vissuto la perdita della madre e conosceva già così precocemente i significati del dolore familiare), è un personaggio che non si dimentica facilmente: la sua sofferenza, il suo candore, i suoi occhi veicolano il cuore dello spettatore verso una comprensione globale dei malesseri di una società distrutta da vent'anni di dittatura fascista e corrosa dai germi del moralismo, dell'insensibilità e del dominio delle apparenze che sarebbero perdurati ancora per troppo tempo, anche a Paese liberato. De Sica riesce, come solo i veri giganti della settima arte, a far passare, attraverso il calderone emotivo delle vicende di un infante, uno sguardo sì impietoso ma assolutamente umanitario dei protagonisti coinvolti: stupisce ancora oggi la capacità di far provare empatia nei confronti di ogni protagonista, dalla madre che voleva semplicemente chiudere un matrimonio ormai infelice e coronare una nuova e sana storia d'amore ad un padre incapace anche economicamente di pensare all'educazione del bambino. Quasi a voler suggerire che tutti hanno le proprie sacrosante ragioni ma, in una società medievale nelle sue leggi e poco rispettosa delle ragioni di un uomo, di una donna e di un bambino, a farne le spese, in un'universale valle di lacrime in cui anche lo spettatore si ritrova nello straziante finale (molto più pessimista rispetto al romanzo di partenza), è principalmente il futuro di questo Paese.
Non stupiscono, a questo proposito, le parole di papa Francesco pronunciate nel marzo 2017 durante una Visita Pastorale a Milano: I nostri figli ci guardano continuamente; anche se non ce ne rendiamo conto, loro ci osservano tutto il tempo e intanto apprendono. «I bambini ci guardano»: questo è il titolo di un film di Vittorio De Sica del ’43. Cercatelo. Cercatelo. “I bambini ci guardano”. E, fra parentesi, a me piacerebbe dire che quei film italiani del dopoguerra e un po’ dopo, sono stati – generalmente – una vera “catechesi” di umanità. Chiudo la parentesi. I bambini ci guardano, e voi non immaginate l’angoscia che sente un bambino quando i genitori litigano. Soffrono! E quando i genitori si separano, il conto lo pagano loro. Quando si porta un figlio al mondo, dovete avere coscienza di questo: noi prendiamo la responsabilità di far crescere nella fede questo bambino. Vi aiuterà tanto leggere l’Esortazione Amoris laetitia, soprattutto i primi capitoli, sull’amore, il matrimonio, il quarto capitolo che è una davvero una chiave. Ma non dimenticatevi: quando voi litigate, i bambini soffrono e non crescono nella fede. I bambini conoscono le nostre gioie, le nostre tristezze e preoccupazioni. Riescono a captare tutto, si accorgono di tutto e, dato che sono molto, molto intuitivi, ricavano le loro conclusioni e i loro insegnamenti. Sanno quando facciamo loro delle trappole e quando no. Lo sanno. Sono furbissimi. Perciò, una delle prime cose che vi direi è: abbiate cura di loro, abbiate cura del loro cuore, della loro gioia, della loro speranza.
Un abisso ci separa dal 1943 ad oggi ma tornare a riguardare ciclicamente questo capolavoro di De Sica potrebbe rivelarsi ancora salvifico.
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