Regia di Paul W.S. Anderson vedi scheda film
La fine (?) di una saga horror apocalittica che gioca sulla ripetizione dei cliché e sul l'accumulo di prede da abbattere, nella migliore e più triviale tradizione dei videogames. Coatto e trash, ma con sfondi accattivanti e brevi momenti di fascino fugace da apocalisse senza scampo.
Giunti ormai al sesto capitolo (salvo essermi perso qualcosa...l'animazione giapponese di sicuro), il quarto nelle mani del suo regista originario, quel Paul W.S. Anderson che ne iniziò le redini dal 2002 dal celebre videogioco, rimettendo in sesto la carriera della diva statuaria ex compagna di Besson, Milla Jovovich, modella divenuta attrice anche per amore ed avvezza ormai a condividere con alcuni cineasti esperienze lavorative e sentimentali.
Una efficace voce narrante ci fornisce uno stringato ma valido resoconto di come tutto ebbe inizio, e questo aspetto è la nota più valida e concreta di tutto il film. Che ci parla di come tutto nacque tra i sotterranei della Ombrella Corporation, e di come questo epilogo (lo sarà davvero?) ci riporti fatalmente nel cratere ove un tempo tutto nacque: il virus creato da un padre scienziato per salvare una figlia bambina afflitta da una malattia degenerativa, curata alla perfezione ma colpevole parimenti di aver provocato effetti collaterali della portata di un'epidemia senza contegno di morti viventi assetati di vite umane.
La vicenda non si discosta dalle altre cinque precedenti: suggestivi sfondi apocalittici non nuovi ma di una certa funebre efficacia visiva, barricate per difendersi dall'onda famelico, ma ancora di più dai fedeli malvagi collaboratori dello scienziato (reso ancora una volta con caricaturale spietatezza dal bravo attore teatrale Iain Glen) antagonista del padre di Alice. Donne toste (oltre a Milla, bella, energica e fresca come quindici anni fa, ritroviamo una smagliante Alì Larter), la ripetizione ossessiva che deriva alla storia dalla sua inevitabile derivazione da videogame, che trova appunto nella ripetizione dei cliché e dell'azione la sua ragion d'essere che invece indebolisce e rende fiacca la narrazione cinematografica.
Per Anderson un minimo sindacale che non ne esalta certo le potenzialità da anni purtroppo sottotono o al servizio di storie non proprio alla sua altezza di buon regista di action vigorosi.
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