Regia di Robert Schwentke vedi scheda film
Giovani dive crescono. Era successo a Jennifer Lawrence che per il protrarsi dei tempi di lavorazione di Hunger Games si era vista invecchiare sullo schermo, regalando al suo personaggio una maturità extracopione, dipendente in parte dai cambiamenti fisiognomici tipici dell'età post adolescenziale, in parte da un escalation professionale culminato con la vincita dell'Oscar. Capita la stessa cosa a Shailene Woodley, protagonista di lungo corso della saga dei divergenti che, arrivata al suo atto finale - suddiviso come al solito in due parti - si avvale, più o meno consciamente, di un surplus di credibilità a cui non deve essere estranea la raggiunta consapevolezza dell'attrice. La quale, in assoluta sintonia con l'evoluzione psicologica della sua eroina, appare meno acerba rispetto agli inizi - "Divergent", 2014 - occupando la storia con una sicurezza equivalente a quella necessaria alla sua Beatrice Prior detta Tris per affrontare la complessa missione a cui è stata chiamata. Dettaglio non da poco anche in considerazione di una distanza tra realtà e finzione che hollywood si sforza di colmare fino al punto di mettere in scena il privato dei suoi attori com'è successo con "Boyhood", girato con l'intenzione di far coincidere la cronologia narrativa relativa al personaggio a quella ordinaria e privata dell'interprete. E che in un film come "The Divergent Series: Allegiant" acquista maggior importanza non solo perché la visione del mondo distopico e post apocalittico per quanto fantasiosa e visionaria racconta un'umanità immersa in un crogiuolo di istinti e motivazioni profondamente radicati nella nostra contemporaneità e quindi bisognosa di essere rappresentata da personaggi concreti e riconoscibili.
La necessità di un centro motore inequivocabilmente individuato nella figura di Beatrice Prior nella fattispecie è tanto più forte quanto maggiore è il bisogno di stabilire una continuità tra gli episodi precedenti, segregati all'interno delle mura cittadine utilizzate dai cattivi per separare gli abitanti di Chicago dal resto dell'ecumene, e quello attuale, a dir poco rivoluzionario nell'economia della saga per il modo con cui Allegiant mischia le carte in tavola mutando le forme del suo paesaggio. A cominciare dal cambio di coordinate geografiche, giustificato dalla volontà di Beatrice e da Tobias -controparte maschile di un'avventura prettamente femminile - di scoprire cosa si cela oltre la prigione urbana in cui li aveva relegati la perfida Jeanine, e, di conseguenza, dallo stacco estetico tra gli edifici diroccati e fatiscenti della metropoli statunitense e le sinuosità futuristiche e tecnologiche dell'organizzazione preposta a regolare l' ordine mondiale. Per finire con la messa in disparte dell'universo relazionale suddiviso in fazioni rivelatosi fittizio per essere il frutto di un esperimento genetico e sorpassato dagli orizzonti narrativi originati dall'entrata in scena di David, il capo del dipartimento di sanità genetica più che mai assetato di potere.
A rimanere uguale è invece il tema di fondo dell'intera saga, rintracciabile in quel dualismo dello spirito americano che si rifà da un lato a una certa rigidità protestante, tendenzialmente chiusa verso l'altro e diffidente nei confronti della diversità antropologica e culturale. Particolare questo da cui ha avuto origine per esempio il malcelato senso di superiorità della nazione bianca americana. Dall'altro, per antitesi, un indomito spirito di scoperta e volontà d'affermazione finalizzato tanto ad un ampliamento degli spazi vitali quanto dalla volontà d' affrancamento dalle spinte più retrive di quelle stesse origini. Caratteristiche che erano parte integrante di film come "The Village" di M.Night Shyamalan e pure dei vari Hunger Games e Maze Runner e che qui vediamo in azione sia nella decisione di Beatrice e di Tobias di rinunciare al proprio habitat per esplorare nuove possibilità di vita, sia in senso più velato ma non meno evidente, nella contrapposizione tra le suddette fazioni che in un senso molto generale sembrano mimare l'antagonismo che da sempre separa la strategia d'affermazione politica tra repubblicani e democratici. Diversamente, dal punto di vista prettamente cinematografico il film di Robert Schwentke si attesta sulla qualità media del genere di riferimento contemplando un tipo di fantascienza allo stesso tempo ludica e fanciullesca - sul modello di un blockbuster come Star Wars - e, seppure in tono minore, stratificata e riflessiva per le allusioni e i rimandi alla nostra contemporaneità. Ragionamenti che poco influiscono sul responso del botteghino attento soprattutto alla spettacolarità dell'offerta e al gradimento del pubblico più giovane ma almeno per noi sufficienti a giustificare la spesa del biglietto e perché no la visione del capitolo finale in uscita il prossimo anno.
pubblicato su ondacinema.it
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