Regia di Paolo Genovese vedi scheda film
Un gioco tra amici, una sera, intorno al tavolo, si trasforma in una specie di roulette russa a cui nessuno di essi riesce a sottrarsi. E’ in gioco il rapporto tra l’apparire e l’essere che, in ogni società, spinge i soggetti a nascondere la propria vera identità.
Un gioco tra amici, una sera, intorno al tavolo, si trasforma in una specie di roulette russa a cui nessuno di essi riesce a sottrarsi. E’ in gioco il rapporto tra l’apparire e l’essere che, in ogni società, spinge i soggetti a nascondere la propria vera identità. Chi si tradisce e mette a nudo sentimenti, relazioni o perversioni più nascoste, è punito con il ripudio sociale e l’allontanamento anche dagli affetti dei propri cari. Quel coming-out fa apparire il mostro; nello stesso momento, questi prende coscienza dei propri errori. Quella maschera, che fino ad allora sembrava una difesa naturale, innocua e necessaria all’esercizio delle proprie libertà, diventa consapevolezza di un fare meschino e doloroso. La punizione lo colpisce doppiamente: dall’esterno, con il disprezzo degli altri e, dall’interno, con il disprezzo di se stesso. Lo spettatore resta imbarazzato e vorrebbe non assistere a quel raccapricciante attimo di rassegnazione che precede la tragedia. Quell’attimo in cui il mostro non ha più vie di uscita e , di fronte all’evidenza, non può che restare muto. A questa sintetica trama manca solo un risvolto farsesco: quasi tutti hanno qualcosa da nascondere e vengono regolarmente scoperti ed in egual modo puniti.
Chi ha pensato ad una commedia, si trova invece di fronte ad una potente ed innovativa forma di realismo. Ogni personaggio di questo film è un moderno “ladro di biciclette” esposto al giudizio della folla. Una folla, però, che, contrariamente a quella del film di De Sica, non riesce a trovare in quel comportamento alcun sentimento di comprensione o di giustificazione. E’ l’autore che lo vuole e lo fa presentandoci il conto dei danni di quel furto metaforico di fiducia ed affidamento che è dietro ad ogni tradimento. Così, lo spettatore non può che ripudiare l’infedeltà coniugale così diffusa tra quei personaggi. Perché percepisce, attraverso la trama, che Il tempo capitalizza i danni di tanti momenti sottratti al coniuge o ai figli o alle vicende di casa e di lavoro. Tradito dal coniuge o dall’amico, ogni personaggio paga il proprio tributo. Anche una figlia, poco più che adolescente, esprime il dramma di non poter comunicare con la propria madre perché questa è in completo sballo per l’amante. Presa dall’ansia per l’apprestarsi delle prime esperienze sessuali, la giovane si rivolge, allora, al padre che - Interprete eccezionale, Giallino – provvede, con la maturità dell’età e la serenità che gli viene da una vita consapevolmente dignitosa e protesa al benessere della famiglia, a fornirle quei dovuti principi di comportamento che possano farle da guida. E lo fa con un mirabile discorso che potrebbe essere adottato come manuale per le prossime e future generazioni. Né può condividere, lo spettatore, la scelta di chi, ritenendo che non vada affrontata la verità, con il cambiamento di vita che ne consegue, preferisce continuare con una “sana” menzogna. Non può, cioè, assistere indifferente alla tragedia che si delinea sul viso della giovane e man mano disincantata moglie (autorevole interpretazione della Rohrwacher) che, scoperto il tradimento del marito, vede crollare in un solo istante quel mondo di sogni che aveva riposto in un ménage coniugale appena iniziato.
Ma non tutto segue questa lineare lezione di morale. Vi sono personaggi nel film da non poter considerare rei di aver rubato qualcosa. Cosa ha rubato e a chi, colui che ora, a causa di quel gioco malvagio, è costretto a rilevare agli amici di sempre la propria omosessualità nascosta? La centralità del film sembra allora spostarsi decisamente sul rapporto tra etica e società. Ora l’autore spinge lo spettatore a porsi a difesa del “menzognere”. A comprendere, cioè, che quella menzogna è l’unica possibile difesa contro una società che ancora resiste ad un’avanzata dei costumi già da tempo recepita anche a livello di tutela giuridica di ogni forma di libertà sessuale, religiosa e di pensiero. Già, perché, contrariamente a periodi bui in cui la morale comune si avvale di leggi punitive, autoritarie e repressive, tali da stroncare ogni tentativo di evoluzione, oggi, per fortuna, vi sono leggi illuminate, molto più avanti della morale comune, che dichiarano la legittimità di ciò che la società non è ancora in grado di percepire o di accettare come regolare. Non c’è quindi da stupirsi se tra quei personaggi ve n’è più di uno che giudica, quale peggiore tradimento, l’aver taciuto all’amico di essere profondamente diverso dall’immagine di sana virilità che aveva simulato durante lunghi anni di frequentazione e di intima amicizia. Il pericolo di una contaminazione, rischiata per quella inconsapevole vicinanza all’omosessuale, si fa addirittura strada nella mente dell’amico che, tra l’ira e la delusione, ripete: come hai potuto…….?
Personaggio chiave di tutta la trama, è colei che propone il gioco. Un gioco fatto per smascherare gli altri e non essere a sua volta smascherata (tutti hanno qualcosa da nascondere). Alla fine, però, solo un massacro. Un nuovo “carnage” dal sapore nostrano vissuto intorno ad un tavolo ancora pregno dei profumi del vino e degli spaghetti alla carbonara ma non per questo dissimile da un’arena coperta di corpi inermi e di sangue. Nel silenzio che avvolge la scena finale, ogni spettatore fa fatica a riprendersi dall’emozione. Nessuno riesce più a percepire l’autonomia di un proprio pensiero: la potenza dei personaggi e l’aggiunta di una perfetta regia e di una eccezionale recitazione, ha portato tutti verso quell’unica morale voluta ed indotta dalle circostanze rappresentate.
Bravo Genovese, bravi gli attori, potente la tematica che, come in una tragica morsa, fa presa sugli spettatori. Su tutto trionfa la morale. Alla fine, lo spettatore, fortemente emozionato ed assorto nei propri pensieri, quasi non si accorge di un magico cambio di scena, inaspettato ed apparentemente senza un motivo, voluto dall’autore: gli stessi personaggi, uscendo da quella casa, si salutano dopo una serata normale nella quale non c’è stato nessun gioco e nessuno si è tradito. Quella tragedia mancata è l’augurio di una buona nottata rivolto a chi preferisce pensare che nulla è cambiato.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta