Regia di Paolo Genovese vedi scheda film
Un gioco malizioso ed altamente pericoloso delle verità, mette a dura prova l'armonia, assai posticcia, di tre coppie (e mezza), impegnate a trascorrere una serata solo apparentemente all'insegna della distensione e della sana goliardica compagnia. L'arte della menzogna si sgretola dinanzi alla presenza monolitica e sovrana del cellulare.
"A volte sarebbe meglio trovare il coraggio per lasciarsi".
Questo il punto focale, l'amara conseguenza finale, che emerge dopo una serata serena e spensierata - almeno nelle intenzioni - trascorsa tra amici, a casa, presso il bell'appartamento di una coppia di mezza età, tutti intenti a partecipare ad una cena organizzata in occasione di una sera animata da una eclissi lunare.
Tre coppie più uno, ufficialmente accoppiato, ma con la compagna altrettanto ufficialmente indisposta, ed ignota a tutti gli altri.
La padrona di casa, Kasia Smutniak, ostentando sicurezza, invita i commensali a partecipare ad una sorta di sfida-gioco della verità: ognuno dei presenti dovrà lasciare sul tavolo il proprio cellulare, e rendere noto agli altri ogni messaggio o telefonata che riceverà durante la serata.
Ne esce il finimondo: un gioco al massacro che mette in forse ogni rapporto e sconquassa unioni tenute incollate dalla menzogna o dal non detto, dalla codardia di non voler ammettere di non riuscire più a sopportarsi o a fare a meno di una promiscuità che diventa a tutti gli effetti "il sale della vita", l'ebbrezza da vivere come unico slancio dopo una vita di percorsi sempre troppo prestabiliti e privi di alcuna emozione.
"La verità è che siamo tutti troppo frangibili": questa la diagnosi che il padrone di casa, interpretato con solida e consueta verve e professionalità da Marco Giallini, disegna sui destini di coppie destinate alla deriva, quando la verità emerge spietata e devastante, violenta ed inaspettata, quindi travolgente e destabilizzante, offensiva ed umiliante come un manrovescio ricevuto all'improvviso e senza preavviso alcuno.
Paolo Genovese, esperto nella commedia, spesso leggera, spesso corale, "solo a volte brillante e riuscita", ma autore almeno del valido "Una famiglia perfetta" (più che dello scontato "Immaturi"), ritorna ancora una volta, dopo almeno due recenti e piuttosto riusciti predecessori (Il nome del figlio, della Archibugi, già remake, ma piuttosto valido, e Dobbiamo parlare, di Rubini) tra le mura un pò claustrofobiche di un film corale e ad ambientazione tutta interni (spaziosi, quasi immensi con quelle terrazze a dir poco avveniristiche), quasi a formare una spietata trilogia sulle verità sconcertanti (ma neppure troppo) che emergono dopo un confronto serrato e senza via d'uscita, che costringe a confessioni come minimo imbarazzanti e dagli effetti laceranti.
Il film si lascia vedere ed ha qualche appiglio gradevole e sin intrigante, mettendo al centro della verità inconfessabile lo strumento che per eccellenza governa e gestisce le nostre esistenze, le nostre vite ufficiali e quelle ufficiose: il cellulare.
Il film, ammiccante e non nuovo, risulta tuttavia piuttosto riuscito grazie soprattutto all'apporto prezioso di sette attori tutti bravi e piacevoli, che risultano, più che altre volte, compatti e motivati, forti ognuno di personaggi perfettamente nelle corde di ognuno ed equamente ripartiti e tratteggiati nel gioco al massacro che si scioglie abilmente nell'ora e mezza di mattanza psicologica e morale che ne segue.
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