Regia di Paolo Genovese vedi scheda film
Ormai è assodato (e so che sono ripetitiva o che rischio di esserlo) ma non posso fare a meno di asserire, non senza un pizzico di orgoglioso entusiasmante, che il cinema italiano si è rinvigorito, lo conferma anche quest’ultimo film di Paolo Genovese che realizza la sua opera migliore, rifacendosi vagamente allo stile della Archibugi di Il nome del figlio, ci regala una pellicola più italianizzata (e stavolta non per difetto) rispetto allo standard di Polanski che la regista romana aveva preso d’esempio. Genovese è più leggero ma allo stesso modo intenso, come a voler accontentare due fasce di pubblico tra impegnato e spensierato, di certo più emozionale. Complice una buona sceneggiatura e dialoghi efficaci anche se, gran parte del merito, è del forbito cast di buoni attori nostrani tra cui spicca: la bravura di Edoardo Leo, che finisce per rendere migliore ogni progetto che abbraccia; lo stile, piacevolmente inconfondibile di Marco Giallini e la classe di Anna Foglietta all’apice della sua forma attoriale regala una prova intensa. Certo, bravi anche gli altri ma, loro tre, eccellono su tutti. Tra gioco e provocazione si finisce per toccare tutti i temi che avvolgono la nostra esistenza, mettendoci davanti l’evidenza cieca che caratterizza il nostro tempo. Una pellicola gradevole e simpatica, riflessiva e scorrevole, due ore di buon cinema come non vedevo da anni o forse non ho mai visto così.
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