Regia di Amir Naderi vedi scheda film
La montagna respira, la montagna ruggisce.
Impone la sua ingombrante presenza, allunga la sua pesante ombra su chi ancora ne abita le pendici, condizionandone, plasmandone il vissuto quotidiano.
Agostino, come un ennesimo Davide contro il gigante Golia, sfida la montagna maledetta, aspro patrimonio di una natura matrigna ereditato dagli antenati del luogo, tormento atavico che non conosce fine, le cui inarrivabili frastagliate vette non lasciano penetrare i raggi del sole rendendo impossibile la vita e spezzando, come rami secchi, quelle già esistenti.
Anni e anni passati a scalfirne il rigido profilo a colpi di martello, fino a raggiungerne il cuore molle, fragile, forse indifeso.
E sentirla agonizzare, e vederla, finalmente, cedere.
Frantumarsi sotto i suoi occhi ad un passo dall’incredulità.
Così da poter ammirare anche da lì il sole, cullarsi nel suo caldo abbraccio per troppo tempo negato, sentirne il tepore sulla pelle, su quel viso martoriato, su quel corpo provato, segnato dal sacrificio ma sostenuto da una caparbia, intransigente, ottusa determinazione che inibisce la fatica, anestetizza il dolore, rinvigorisce lo spirito.
Per poter dirsi anch’egli figlio di quel Dio che è luce, prosperità, salvezza.
E come d’incanto, le canute chiome, testimoni incontrovertibili di una lunga ed affannata permanenza sulla terra, nella fissità ostile di quel territorio sterile e maligno, riprendono i loro rigogliosi colori, i corpi e i volti ritrovano la freschezza perduta, come ad annullare la sofferenza fisica e morale di una vita impiegata nell’assolvere ad un preciso compito, spesa a rincorrere un’ossessione che si fa unica ed ultima ragione di vita.
Oltre ogni altra ragione, oltre ogni logica, oltre i limiti imposti dalla nostra imperfetta natura terrena.
Amir Naderi torna a raccontare l’ostinazione degli uomini, immergendoci ancora una volta nel suo singolare umanesimo, estremo, viscerale, pervicace, pulsante, crudo, tragico, consolatorio; incastonandolo nuovamente in una lucida idea di cinema materico e astratto al tempo stesso, dove il potente realismo della messa in scena fa i conti con la granitica valenza metaforica dei contenuti in essa presenti.
Trasformando le sue opere in riuscite ed efficacissime parabole sull’esistenza, resistenza e vitalità umane così particolari e suggestive da marchiarsi indelebili nella memoria, e così emotivamente deflagranti da lasciare un segno profondo in chi ad esse sceglie (anche per pura curiosità, vista la natura accattivante degli assunti) di accostarsi.
I colori insaturi che virano al seppia, i toni plumbei che vestono gran parte delle sequenze e un attento lavoro sul sonoro volto a sottolineare ed amplificare quel senso di inquietudine, desolazione e insieme di smarrimento e alienazione (di Agostino, straniero in terra patria) che pervadono il film, contribuiscono a rendere Monte una pellicola assolutamente affascinante sotto il profilo formale, in grado di facilitarne l’approccio e smussarne il carattere respingente che un primo impatto potrebbe riservare.
Girato per intero in Italia, tra Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, con troupe e attori italiani, tra cui, in un cameo, figura l’altera Anna Bonaiuto, l’ultimo film dell’iraniano trapiantato negli u.s.a. Amir Naderi mostra orgoglioso gli sforzi produttivi di un lavoro indipendente a budget limitato: ottime la ricostruzione dell’epoca medioevale e la scelta delle location, luoghi remoti dall’intaccata identità severa e inospitale, dove il mostro dell’urbanizzazione non è riuscito ad attecchire deformandone irreversibilmente il paesaggio, evidentemente protetto, custodito, vegliato dalla sacralità di quelle imponenti montagne che all’occhio umano appaiono eterne ed immutabili, silenti eppure vive presenze antiche quanto gli impenetrabili anfratti del mondo.
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