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Homicide

Regia di David Mamet vedi scheda film

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La recensione su Homicide

di sasso67
8 stelle

Film interessante, all'epoca un po' bistrattato e sottovalutato, di un autore che, quanto meno ad inizio carriera, valeva sempre la pena di vedere. Dietro ad una struttura da giallo, qui si nasconde una moderna quest, con un protagonista che, da ebreo dei nostri tempi, non cerca il Sacro Graal ma le proprie radici.

Se qualcuno ha avuto la fortuna dio leggerlo, può avvicinare, a Homicide, l'ultimo romanzo di Charles Bukowski, Pulp, mentre i più cinefili potranno utilizzare, come punti di riferimento, fatte le dovute differenze, i disincantati noir dello scacco esistenziale, come Il lungo addio (1973) di Altman e Chinatown (1974) di Polanski.

Il protagonista Bobby Gold è un detective che, durante un'indagine su un gangster di colore che ha ucciso due poliziotti, si trova sulla scena dell'omicidio di un'anziana bottegaia ebrea in un quartiere ghetto. Costretto dai superiori ad indagare su quest'ultimo fatto di sangue, il poliziotto entra in contatto con un'organizzazione segreta sionista, che, dopo avere aiutato con un traffico di armi da guerra i confratelli che hanno combattuto per la nascita dello Stato d'Israele, compie atti di vendetta contro i membri di varie gang neonaziste ed antisemite. Al contatto con queste persone, ebrei consapevoli e combattivi, che parlano l'ebraico e l'yiddish e combattono per la difesa della propria religione e della propria cultura, Gold, che è un ebreo all'acqua di rose, si sente quasi una nullità, un corpo estraneo. Questa sensazione aumenta sempre di più, con il suo impegno al fianco dei militanti ebraici, anche all'interno del corpo di polizia: quando un collega, per giustificare il compito di indagare sull'omicidio dell'anziana ebrea, gli domanda «non sei ebreo anche tu?» lui risponde «pensavo di essere un poliziotto». A un certo punto, entrambe le indagini cui Gold ha messo mano vanno a farsi benedire, accentuando il senso di fallimento cui l'uomo si sente destinato, mentre l'unica consolazione gli viene da un padre che senza apparente motivo ha ucciso i suoi due figlioletti in un momento di follia e che continua a promettergli gratitudine, anche se il suo futuro, bene che gli vada, è quello di passare il resto dei suoi giorni in prigione.

Joe Mantegna sa dare la giusta espressione di spaesamento a questo personaggio disorientato dalla scoperta di qualcosa che dovrebbe essere dentro lui stesso. Scopre l'amara verità secondo un meccanismo a sorpresa, simile a quello che renderà celebre I soliti sospetti (1995) e secondo uno schema comune ai primi due film di Mamet, La casa dei giochi e Le cose cambiano.

Al fianco del protagonista si nota, in una particina significativa, l'ottimo William H. Macy.

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