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Lulù

Regia di Georg W. Pabst vedi scheda film

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La recensione su Lulù

di Aquilant
8 stelle

“Gli dei crearono una donna bella ed affascinante, esperta nell’arte della lusinga. Le diedero un vaso contenente tutti i mali dell’umanità. La donna sbadata aprì il vaso ed i mali si riversarono irrimediabilmente su di noi.”
E’ stata definita “EPITOME DELLA BELLEZZA IN TUTTE LE SUE FORME, TRANSITORIE ED ESTERNE, INCANTEVOLI, RATTRISTANTI, DISTRUTTRICI E REDENTRICI”, ed anche “INGENUA, INNOCENTE, GRAZIOSA RAGAZZA, VECCHIA DI CENT'ANNI E APPENA NATA, SENZA PASSATO E SENZA FUTURO” la creatura immortale creata dalla penna del drammaturgo tedesco Frank Wedekind il quale nel corso di un periodo di permanenza a Parigi aveva avuto l’occasione di assistere ad una rappresentazione scenica dal titolo “Lulù, la danzatrice clown”, di Felicien Champsaur, in cui tra l’altro veniva opportunamente ridicolizzato addirittura il filosofo nichilista Arthur Schopenauer.
Wedekind fu letteralmente colpito dalla personalità della protagonista dello spettacolo e non tardò ad appropriarsi dell’idea, scrivendo e dando alle stampe i primi tre atti intitolati “Lo spirito della terra” ambientati nella città di Amburgo. Successivamente riuscì a pubblicare anche la seconda parte di quella che fu chiamata “tragedia mostruosa”, con i due atti conclusivi dal titolo “Il vaso di Pandora”, comprendenti un’introduzione in cui vengono descritti gli avvenimenti narrati nella pubblicazione precedente, arricchendo il tutto con l’apporto di “Jack the Ripper”, una vera e propria guest star di successo, se così si può dire.
Sfortunatamente per l’autore tale successiva opera fu accusata di permissivismo ed ostacolata in tutti i modi possibili ed immaginabili, ma per un vero e proprio colpo di fortuna alla rappresentazione della prima si trovò ad assistere il musicista dodecafonico Alban Berg, già in precedenza colpito dalla lettura dello “Spirito della terra”, che dopo vent’anni circa decise di mettere in musica, dopo il “Wozzeck”, la discesa di Lulù negli inferi del degrado e dell’abiezione morale. L’opera incompiuta fu eseguita in concerto nel 1937 a Zurigo e rappresentata scenicamente alla biennale di Venezia del 1949.
Ma qual è in realtà il vero volto di una Lulù ambiguamente controversa e dalla personalità a tratti sfuggente? Secondo la particolare concezione di Wedekind, dal momento che il sesso va inteso come sinonimo di “disinganno, morte e distruzione”, (ma anche come equivalente della “natura” e conseguentemente della “verità”), tale personaggio va idealmente equiparato alle forze stesse della sessualità che devono necessariamente essere represse ma che possono essere contrastate unicamente dalla “morte” in persona. In effetti secondo l’autore le pulsioni della sessualità, se da un lato affrancano l’individuo dalle repressioni di una società sempre più ipocrita, dall’altra non possono non contribuire a farlo scivolare sempre più in basso, obbligandolo a percorrere tutti gradini dell’abiezione, in vista di un’incombente perdizione, verso cui è istintivamente predestinata la maggioranza degli esseri umani. E dal momento che il personaggio di Lulù va considerato come UN’INCARNAZIONE DELLA SESSUALITÀ PRIMIGENIA, ecco quindi che alla luce di tali concezioni il capolavoro di Pabst acquisisce un significato particolare che rende molto più agevole l’approccio ad un’opportuna chiave interpretativa in grado di gettar luce sulla misteriosa personalità della sua creatura.
Ma per tornare alla controversa protagonista dell’opera in questione, la biografa e critica Karen Monson la definisce “NATURA PURA E INTEGRA, E NEL CONTEMPO DEGENERAZIONE TOTALE: UN'ASSASSINA SENZA RIMORSI, SENZA SENSO MORALE, SENZA SENTIMENTO DI GIUSTO O INGIUSTO, DI BUONO O CATTIVO. È UN SERPENTE VELENOSO CHE SI NASCONDE, INCAPACE DI COMPRENDERE RAZIONALMENTE I SUOI POTERI MORTALI. VIVE PER AMORE, MA NON HA ALCUN SENSO DELL'AMORE. È L'INCARNAZIONE DELL'ISTINTO, DELLA IRRAZIONALITÀ E DELL'AUTOAPPAGAMENTO. NON C'È NULLA CHE NON SI POSSA FARE PER LEI O CON LEI. È INEVITABILE. NON È COLPA DELLA FIAMMA SE LA FALENA VOLANDOLE INTORNO LE SCIVOLA DENTRO E SI ANNIENTA.”
Per quanto riguarda invece l’immagine di Lulù abbozzata da Pabst, ovvero una femme fatale risultante dall’incrocio tra una moderna Salomé ed una Maddalena penitente ma non troppo la cui “mortifera” gioia pervade ed inonda ogni minimo fotogramma dell’opera, la pellicola si avvale dello straordinario apporto di Louise Brooks, archetipo visivo cinematografico e fumettistico (thank you Crepax) per antonomasia.
Vera e propria mantide religiosa esperta nell’arte della lusinga oppure inconsapevole vittima di soffocanti ingranaggi passionali per eccesso di ardore incontrollato? Perversione fatta carne e sangue oppure ignara pedina mossa (e rimossa) dal vento della vita? Demone perverso dal sorriso sardonico e dalla sottile smorfia di ammiccante cattiveria o angelica creatura internamente delimitata da un involucro di celestiale candore? Spietata macchinatrice dei destini altrui o vittima ignara di contingenti circostanze? A dire il vero il personaggio in questione non si sogna in alcun modo di (s)chiarirci gli aspetti più occulti della sua misteriosa personalità, limitandosi ad imperversare in lungo ed in largo sulla scena, forte della sua annichilente “joy de vivre” e di una struttura caratteriale fortemente modellata su una (ir)riflessività istintiva che le permette di passare indenne, almeno fino al devastante epilogo, attraverso le più perigliose situazioni fatalmente determinate dalla sua disgregante forza propulsiva che inconsciamente impostata a guisa di un’arrembante reazione a catena la condurrà ad esplorare in ogni minimo dettaglio, ma senza mai perdersi d’animo più del dovuto, quel fondo dell’abisso quel fondo dell’abisso in grado di farla rispecchiare compiutamente nel proprio degrado e nel quale a loro volta gli esseri umani che hanno la s(ventura) di avvicinare la fatale creatura sono costretti a leggere gli estremi della loro eterna dannazione.
Figura leggendaria di forte valenza erotica, incarnazione stessa di una passione spinta alle sue estreme conseguenze e caratterizzata da una forma di sottile perversione non disgiunta da un penetrante profumo di ambiguità, il personaggio di Lulù, praticamente affogato nella profonda atmosfera di devastazione esistenziale che circonda e soffoca la Germania decadentista della repubblica di Weimar, preda di un profondo disagio pronto a sfociare in un vero e proprio collasso dalle letali conseguenze, non ama rifugiarsi in alcun tipo di mascheramento, delineando le sue sensuali e sinuose fattezze sullo schermo all’accattivante ed equivoca maniera di un’arcana incantatrice, pronta con la sua presenza letale a procacciare sinistri doni di morte, in grado di affidarsi con tutto il suo essere ad improvvise esplosioni di puntigliosa gelosia immediatamente seguite da calde e passionali effervescenze amorose colte prematuramente in flagrante con grande gaudio della stessa.
Sensualità, candore, risolutezza, determinazione. Lo sguardo interlocutore di Louise Brooks è in grado di caratterizzare con estrema avvedutezza tutti i movimenti tellurici del personaggio da lei interpretato, coadiuvata da una regia accuratissima ed estremamente attenta al dettaglio che non manca di sottolineare alla minima occasione i pur minimi contrasti e le conflittualità occulte e scoperte tra i vari personaggi.
A parere di chi scrive LULÙ È UN’ANIMA SEMPLICE E COMPLESSA, INGENUA E MALIZIOSA AD UN TEMPO, MA SEMPRE COERENTE DISPENSATRICE DI AMORE. UN ESSERE PERVASO DA UN SENSO TRAGICO D’INNOCENZA E TOCCATO DA UN DESTINO INFAME CHE HA TRASFORMATO IL SUO BISOGNO DI DONARE IN VIZIO SUPREMO E HA FATTO DELLA FEDELTÀ ALLA PROPRIA GIOIA DI VIVERE LA SUA PRINCIPALE SORGENTE D’INFEDELTÀ. UNA VITA VENDUTA CHE SCONTA IN MODO ECCESSIVO LA PROPRIA TOTALE APERTURA ALLE GIOIE PROIBITE DELL’ESISTENZA, RAGGIUNGENDO IL MASSIMO PUNTO DI CATARSI PROPRIO NELLA MORTE, CONSEGNANDOSI AD UN’IMMORTALITÀ LETTERARIA CONGIUNTAMENTE AL SUO UCCISORE. UNA VOGLIOSA PASSIONE D’AMORE ELARGITA IN LUNGO ED IN LARGO A PIENE MANI, CON INFANTILE SPIRITO INNOCENTE TRA SVOLAZZI DI EFFLUVI SENSUALI. DA CONSIDERARE PROBABILMENTE UNA VENEFICA REINCARNAZIONE OVVERO UNA METAMORFOSI AUTOINDOTTA DEL BIBLICO SERPENTE VOGLIOSO DI SPROFONDARE ANCH’ESSO NEL TORBIDO LIMO DELLA PERDIZIONE IN UN GELIDO ANSIMARE NOTTURNO DI NEBBIE LONDINESI: IL LUCCICHIO DI UNA LAMA CHE SI ERGE CIRCOSPETTA TRA PARVENZE DI MISERO AMORE E CONFUSI CHIARORI DI STANZE DI MISERIA E POI IL NULLA ASSOLUTO: L’ATTO FINALE È COMPIUTO.
“Pabst mi disse che la storia di Lulù era la mia storia, ”afferma Louise Brooks “ed io me ne stavo lì seduta a guardarlo. Ed era così vicino alla verità che ripensandoci rabbrividisco un po’.”
Con una sorprendente padronanza della scena Pabst perviene ad una perfetta coordinazione della masse in movimento specie nelle sequenze relative alle prove dello spettacolo di varietà, dimostrando di saper dominare e controllare in ogni suo minimo dettaglio l’informe materia umana, riplasmandola e rimodellandola a suo piacimento nel segno di una simultaneità e di una dinamica di cui probabilmente farà tesoro in epoca posteriore l’immaginifico Fellini dello “Sceicco bianco” e di tanti capolavori successivi, ed al cui punto nodale si pone al solito la figura della protagonista, quella Lulù in grado all’occorrenza di cambiare completamente d’umore in un breve battito di ciglia.
Un cenno a parte merita l’attrice Alice Roberts che passerà alla storia per avere prestato il suo volto a quello che con tutta probabilità è da considerare il primo personaggio lesbico comparso sullo schermo cinematografico. In effetti il ritratto della Contessa Geschwitz è reso da Pabst con non meno efficacia rispetto a quello della protagonista. Un personaggio filtrato dall’interprete belga con grande sensibilità e con un’adesione aspra ed intensa allo stesso tempo, ma alquanto sofferta, a causa di una paventata identificazione da parte del pubblico della sua vita privata con il ruolo da lei recitato sulla scena. E che dimostra alla fine tutta la sua fragilità di donna sottomessa ad una passione insana per l’epoca, ad onta di una falsa sicurezza più volte ostentata nel corso della narrazione, anche fondata sulla forza di uno sguardo che nonostante la sua sfuggenza riesce a volte a parlare in sua vece. Ed a proposito della sua partner di lavoro e compagna di passioni proibite nello schermo Louise Brooks non manca di affermare che quando “improvvisamente la Roberts si rese conto che avrebbe dovuto toccare e abbracciare un’altra donna e mostrarle apertamente il suo amore, gli occhi azzurri le si gonfiarono di lacrime, e le mani cominciarono a tremarle.”
Il regista si muove nel segno della Neue Sachlichkeit (Nuova Oggettività), un movimento ricco di connotazioni sociali che nel clima della Repubblica di Weimar nasce come reazione alla corrente espressionista, tendendo alla realizzazione di una nuova realtà senza trucco, non priva di una ben evidenziata componente emozionale, in grado di guardare con concretezza e lucidità alla reale sostanza delle cose ed usando l’arte alla maniera di una vera e propria arma nei confronti di una società ormai marcia fin nelle sue radici. Da qui il realismo esasperato ma asciutto di alcune scene che presentano comunque una palese commistione con i dettami della corrente espressionista, destinata a risaltare principalmente nelle esasperazioni drammatiche volte ad acuire parossisticamente il tanfo della crescente putrefazione che esala dalle immagini e nella drastica scelta di sinistre luci spioventi che irradiano di un alone sinistro gli ambienti circostanti creando immagini di forte impatto drammatico ed aggredendo talvolta con virulenza i lineamenti facciali degli interpreti, creando inoltre fortissimi contrasti di luce talvolta a getto spiovente sui volti stravolti dall’evidenza di torbide passioni, tramite primi piani che rivelano impietosamente i moti turbinosi dell’animo riflessi all’esterno.
Torvo melodramma di cieca passione ed inevitabile nemesi, la pellicola è da considerare un capolavoro melodrammatico senza tempo e senza età che riesce sempre a sedurci grazie al suo arcano fascino tentatore ed alla sua sempre stringente attualità perché i fuochi devianti d’una febbre interiore che corrode e consuma l’anima e il corpo non smetteranno mai di mietere vittime su vittime in ogni epoca fino alla fine dei tempi.

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