Regia di Claudio Uberti vedi scheda film
Una giornalista tedesca, di origini italiane, prende tacchi e bagagli e si mette in viaggio per raccontare la Mille miglia, celebre gara automobilistica. La macchina fa le bizze, ma in suo soccorso arriva uno scontroso meccanico, apparentemente immune al fascino da bionda svampita. Non fanno in tempo a odiarsi e poi amarsi che si ritrovano tra le mani una fiammante OM 665 S (prima vincitrice della corsa, nel 1927) da riportare in vita. Più che un film, una trovata di marketing, pensata per rinvigorire l’epica e il fascino della competizione. Più che una visione, uno stato di costante straniamento, causato dalla scelta di nominare la Mille miglia più o meno ogni minuto, in qualsiasi contesto, plausibile e non. Non sono elementi sufficienti per punire lo spettatore in questo modo. Rosso Mille miglia è infatti quanto di più lontano da «una storia italiana fatta di passione, bugie e competizione». È un manifesto di svogliatezza privo del minimo desiderio di scrivere una trama, interpretarla (dalle prime linee di dialogo si viene precipitati in un calvario di inesauribile crudeltà), raccontare luoghi, produrre un immaginario, ipotizzare personaggi. Vicende incollate maldestramente, tenute insieme da una cornice romantica e da un risibile intrigo. E quando finalmente arriva la corsa, si dimostra avvincente come un day hospital. Nessuno si merita un film così, soprattutto non la Mille miglia.
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