Regia di Haider Rashid vedi scheda film
Il rap italiano ha realizzato dal 1994 una forte evoluzione, partendo come fenomeno di nicchia, legato principalmente al disagio sociale, ed arrivando vent'anni dopo ad essere probabilmente il genere musicale più ascoltato, cantato e ballato tra le nuove generazioni.
Con Street Opera (già titolo di un brano di culto inciso nel 1999 dal beatmaker Fritz Da Cat con l'mc Lord Bean), il regista italo-iraqueno Haider Rashid intende fare il punto della situazione mettendo a confronto cinque artisti che ne propongono declinazioni simili ma diverse, talvolta quasi opposte, ponendo l'accento da un lato su una policromia che è sicuramente una delle ragioni dell'ampiezza dello spettro di pubblico raggiunto, ma dall'altro suggerendo la ricerca di un punto di incontro, di un minimo comune denominatore.
Clementino, Gué Pequeno, Tormento, Danno ed Elio Germano, sono qui 'riuniti' per raccontare prima di tutto il loro rapporto con la musica e con le parole, con il pubblico e con l'industria discografica. E le differenze sostanziali appaiono evidenti sin da subito, specie se, andando sugli estremi, si prova a rapportare l'old school di Danno, mc dei romani Colle der Fomento, con l'hip hop da classifica di Gué Pequeno e dei suoi Club Dogo: il primo fiero della propria integrità e del proprio zoccolo duro di fan, consapevole di non aver fatto i soldi per il rifiuto di sputtanarsi, e portatore di un messaggio talvolta necessariamente politico; il secondo fiero, al contrario, del proprio schema improntato sul trittico "donne/droga/soldi", scelte perché argomenti facilmente recepibili e condivisibili dalla massa. Su piani ancora differenti si pongono Clementino, che dietro alla propria abilità di freestyler cela una formazione teatrale ed un approccio leggero alla forma canzone, o anche Tormento, che dopo aver raggiunto la ribalta con i Sottotono ha avuto il coraggio di fare due passi indietro, scendere dal piedistallo e ricominciare dal basso di quella scena underground nella quale si è formato. Al lato di queste quattro figure, che rappresentano per scelte politico/stilistiche i quattro punti cardinali della scena rap / hip hop italiana, con un ruolo più defilato e meno simbolico si pone l'attore Elio Germano, che con la sua band Bestierare bazzica quasi in incognito la scena romana da vent'anni, e che, condivisibilmente, ne fa una questione di attitudine, paragonando il rap nato negli anni '90 al punk dei '70 o a certa elettronica degli anni zero.
Alla fine della fiera, tra le maglie di un genere musicale considerato di rottura, il minimo comune denominatore che si cercava si può identificare proprio in questa stessa varietà, e nel suo essere (proprio alla stregua del punk degli anni '70, e fatte le dovute proporzioni) promotore di un pensiero libero e di urgenza espressiva.
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