Regia di Kathryn Bigelow vedi scheda film
La telecamera scruta il corpo dell’arma, una Smith & Wesson 9 mm di ordinanza, ne osserva l’eleganza, la solida consistenza, si sofferma morbosamente sui particolari, anche quelli più nascosti, è un occhio indagatore ma appassionato, quasi sedotto dalla bellezza dell’oggetto.
Potrebbe essere lo sguardo di un uomo sul corpo nudo di una bellissima donna, lo sguardo di un amante fedele ma anche ossessionato dal potere generato da tanta bellezza, un ossessione che è come un vortice che ti spinge sempre più in fondo.
Sono i titoli di testa di Blue Steel, terzo lungometraggio di Kathryn Bigelow, l’occhio che osserva è naturalmente quello della regista, ma soprattutto quello di Eugene Hunt (Ron Silver), agente di borsa che in una notte di paura e sangue si trasforma in un killer spietato, un uomo rapito dal potere generato da un arma da fuoco e dalla divinità che la impugna.
Succede tutto in pochi attimi, Eugene fa la spesa in un supermarket quando entra all’improvviso un rapinatore armato (Tom Sizemore al suo esordio), urla, paura, terrore, tutti a terra mentre il fuorilegge, come nei vecchi western, minaccia il cassiere, poi all’improvviso succede qualcosa di imprevisto, dal nulla sbuca fuori l’agente Megan Turner (Jamie Lee Curtis), recluta appena uscita dall’accademia, è un duello che dura pochi secondi, il malvivente si volta per sparare ma la donna poliziotto è più veloce e gli scarica addosso l’intero caricatore, sangue, vetri infranti, morte.
E un pistola, la Magnum del rapinatore, che vola in aria e finisce proprio davanti gli occhi di Eugene, lui la raccoglie rapido e furtivo e niente sarà più come prima.
Film morboso questo della Bigelow, la regista mette in scena un poliziesco che rispetta tutti i dettami del genere ma lo contamina con una visione estrema assai personale, si intravedono elementi che poi diventeranno classici nella cinematografia della regista, un uso della violenza diretto, esaltato da una poetica action che rimanda ai classici del passato (Peckinpah su tutti), ma anche una cura formale non comune, fatta di scene madri che alimentano la tensione (anche sessuale) e di sparatorie degne dei bei western di un tempo.
Del resto Blue Steel è il più classico dei western metropolitani, un duello spietato tra il folle Eugene Hunt e la poliziotta Megan Turner, una donna che non rinuncia alla femminilità dirompente di una Jamie Lee Curtis mai cosi sexy ma che pone il suo personaggio nell’ambiguo ruolo di difensore della legge e di vendicatrice.
Perché hai scelto di fare il poliziotto chiedono più volte a Megan, e lei risponde con il suo sorriso malizioso “Perché mi piace sparare alla gente”, e poi ancora “Perché mi piace sbattere la testa della gente contro il muro” e infine “Per fermare uomini come lui”.
Lui ovviamente è Eugene Hunt, un Ron Silver tarantolato, indiavolato, folle, un uomo all’apparenza normale che folgorato da una notte di violenza vede il suo mondo crollare, aprirsi su un abisso nero e senza fondo, ma lui non vacilla perché con la pistola in pugno può illuminare le tenebre e scoprire il mostro che nascondono.
Blue Steel è da sempre un mio cult personale, uno dei film della Bigelow che apprezzo di più pur riconoscendo che la pellicola ha limiti oggettivi, il plot nella parte centrale gira un po’ a vuoto e sembra ripetersi in situazioni già affrontate, non mancano incongruenze narrative, alcuni personaggi sono troppo stereotipati, insomma nelle storia scritta dalla stessa Bigelow e da Eric Red ci sono delle stonature evidenti.
Ma questo non può cancellare il fascino di un film che ancora oggi, a distanza di quasi trent’anni dalla sua uscita, non ha perso un grammo del suo appeal perverso, perché il talento della Bigelow e la sua estetica della violenza ne fa un opera ossessiva, straniante, conturbante, perché Jamie Lee Curtis è perfetta nel ruolo (una delle sue migliori prove d’attrice) e lo stesso vale per Ron Silver, assatanato killer che sui tetti di una cupa New York, ben fotografata da Amir Mokri, si bagna con il sangue delle sue vittime, liberando per sempre la bestia nascosta nella sua anima.
Il finale è chiaramente un omaggio ai classici del western, in una Main Street affollatissima deve aver luogo l'ultimo scontro, una sparatoria interminabile e selvaggia tra due animali che non hanno più niente da perdere, il duello tra il bene e il male, due forze all’opposto che utilizzano la stessa magia, una pistola tuonante che lascia segni indelebili, buchi rosso fuoco nella carne e strisce di paura per le strade della città.
Voto: 7.5
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