Regia di Justin Kurzel vedi scheda film
Operazione prettamente commerciale e rivolta principalmente ai fan del videogioco e trasposizione cinematografica dell’omonima saga videoludica di enorme successo, divenuta di culto già nel lontano 2007 in cui vide la luce il suo primo, storico, capitolo sviluppato, così come tutti i successivi, dalla gamehouse francese Ubisoft, Assassin’s Creed non è che l’ennesimo tentativo, dopo moltissimi fallimenti, di cercare di trasferire anche al cinema il successo di un noto videogioco.
Solitamente produttrice di videogames, la Ubisoft si occupa invece direttamente della produzione di questa opera cinematografica con l’obbiettivo dichiarato non di fare soldi (buon per loro!) ma di far conoscere il marchio Assassin’s Creed anche al di fuori dalla cerchia dei soliti gamers di tutto il mondo, e affidandone le sorti al trio di responsabili dell’efficace (almeno per me) Macbeth, ovvero il regista australiano Justin Kurzel e gli attori Michael Fassbender e Marion Cottilard.
Scegliendo di crearlo come estensione ed effettivo nuovo capitolo della serie seppur realizzata per il cinema invece che per la console (e quindi a tutti gli effetti decimo capitolo della saga) il film di Kurzel paradossalmente ne tradisce lo svolgimento come anche lo spirito, spostandone gli equilibri narrativi rispetto alla saga videoludica e dando eccessivo spazio a un’ambientazione moderna (e quindi al suo carattere distopico e neo complottista molto alla Codice Da Vinci)) marginale però nei videogames rispetto invece all’avventura storica, alla ricostruzione del passato e all’interazione di personaggi inventati con quelli storici e realmente esistiti, da sempre fulcro della saga e motivo principale del suo fascino come anche del suo successo.
Inoltre il racconto appare frettoloso, intento più che a raccontare a mostrare le meravigliose scenografie e le coreografie di combattimenti o di inseguimenti in stile parkour, curate in ogni particolare e a tratti effettivamente bellissime, ma spesso anche vuote sia di interesse che di significati proprio perché la narrazione tende a sorvolare (colpevolmente) sulle intenzioni e sulle emozioni dei suoi protagonisti.
In questo senso il cast più che prestigioso appare al contrario superfluo.
E se il protagonista Michael Fassbender, costretto a fatica a fare da intermediario tra i due mondi, riesce almeno a rendere il suo (più però dal punto di vista fisico, grazie alla sua straordinaria presenza scenica, che non per tutto il resto) per gli altri interpreti invece rimane pochissimo su cui lavorare, sia per la scarsità di dialoghi significativi che per la loro presenza relegata solo al presente, e se Marion Cotillard, Jeremy Irons, Charlotte Rampling e Brendan Gleeson faticano a trovare un senso alla loro presenza sono invece Ariane Labed e Michael K. Williams, nonostante ruoli del tutto secondari, a risultare sprecati mostrando sprazzi di quel carisma e personalità che invece latita da altre parti.
VOTO: 4,5
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