Regia di Stefano Lodovichi vedi scheda film
5 dicembre 2010: l’annuale festa dei Krampus, rito attraverso il quale gli abitanti di un villaggio della Val di Fassa esorcizzano la morte, ha un tragico epilogo. Trascurato dagli occhi iniettati di alcol del papà, un bambino di quattro anni scompare nel bosco. Dato per morto per molto tempo - durante il quale il padre viene incriminato e la madre cade in una depressione nera -, ricompare dopo un lustro, ma nessuno pare riconoscerlo. Qualcuno ovviamente nasconde qualcosa. Buona volontà e indulgenza: sono queste le doti che In fondo al bosco chiede allo spettatore per entrare nei meandri di un film dalla scrittura macchinosa o, se preferite, «dal meccanismo narrativo che richiama The Prestige di Christopher Nolan». La prima produzione originale di Sky distribuita nelle sale vorrebbe infatti rievocare i soliti fasti del cinema di genere italiano, ma è un pasticcio indigesto. Tentazioni hitchcockiane, troppa carne al fuoco (siamo dalle parti di un thriller dalle tinte mélo, mascherato da ghost story, sui temi della psicologia infantile, della cattiveria e delle angherie della piccola provincia) e abuso di dialoghi innaturali, ad alto tasso di ridicolo involontario. Nel progressivo naufragio delle vicende, fino all’estenuante quanto improbabile colpo di scena finale, la regia di Stefano Lodovichi tiene botta, ma a uscire con le ossa rotte è soprattutto il cast. Con l’eccezione di Filippo Nigro, unica faccia credibile di questo sfuocato noir.
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